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Questo racconto, benché non sia la prima volta che lo rileggo,
riesce a stupirmi ancora per la freschezza con la quale l’autore riesce a
rappresentare il microcosmo delle persone in lista di attesa in una stazione di
autobus a Cuba.
Ho visto anche il film che si è ispirato a questa storia, ma non
mi sembra che sia riuscito a cogliere lo spirito di questo piccolo capolavoro.
Giá il fatto che ci troviamo di fronte a code che non sono di
poche ore, ma addirittura di mesi, rappresenta un paradosso con il quale
l’autore intende fotografare la societá cubana. Cosí, ad esempio, la folla
diventa una comunità collaborativa, governata dall’impegno volontaristico di
tutti, ma anche per questo da leggi autoritarie che dovrebbero difendere quel
tentativo di contrastare il caos. La controparte diventa l’amministrazione
della stazione degli autobus, con la quale “l’esecutivo”realizza una trattativa
per contrastare la speculazione dei negozianti e il mercato nero, oppure per
ottenere migliori condizioni igieniche.
Tutto sembra funzionare e la vita della comunità consolida,
nella narrazione, il suo essere il paradigma di una societá, con la sua scuola,
il suo morto a cui segue il funerale, con la speranza di una nascita, ecc…
Una situazione che viene presto considerata come definitiva, e
non transitoria, tanto che la prospettiva, diventa reale di una prossima
partenza viene vissuta come una separazione, la fine di una speranza.
Per un amante da sempre della letteratura sudamericana, come mi
ritengo, questo racconto rappresenta l’ennesima conferma dell’unicitá di questo
filone narrativo, ma soprattutto del fascino che esso possiede.
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