lunedì 10 giugno 2013

Antologia di racconti di scrittrici arabe


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Uno dei grandi errori che commettiamo é quello di considerarci solo nell’Europa e non anche immersi nel Mare Mediterraneo, un mare con una grande storia alle spalle e in grado di costruire anche un grande futuro se solo incominciassimo a vederlo, e a vederci, come un tutt’uno, due sponde unite da diverse sensibilità, come dice una delle mie scrittrici preferite, Malika Mokkadem.Quello che vi presento, nella scarsa conoscenza di questa realtà, è il primo di una serie di libri di scrittrici arabe. Non é un mio vezzo culturale, ma la convinzione che occorra battere i pregiudizi che vedono la donna araba solo con lo chador o il velo, senza immaginare la ricchezza di cultura e sensibilità che esse nascondono.In questo primo volume c’è soprattutto un’autobiografia come sogno segreto, desiderio di fuga che misura i confini della propria prigione, fantasie di libertà coltivate nell’intimità della vita domestica e forzature verso la modernità. Ma anche spazi illimitati, tra il mare che abbaglia e l’antica radice del deserto. Un filo accomuna i racconti di questa antologia, al di là delle differenze tra Marocco, Tunisia e Algeria, il filo della libertà femminile alle prese con le fatiche del cambiamento. A raccontarlo sono autrici di due diverse generazioni. Le prime hanno cominciato a scrivere negli anni Cinquanta, hanno conosciuto le lotte per l’indipendenza, alcune vi hanno anche partecipato. Le più giovani in quegli anni sono venute al mondo. Le unisce la lingua in cui scrivono, il francese, e un mutamento della situazione delle donne più radicato che in altri paesi islamici. Gli uomini sono dipinti come immobili conservatori, più che come padroni tirannici. E l’emancipazione è una rabbiosa rivincita sulla pretesa maschile di non smuovere nulla. Ma è anche la perdita di un passato che – ne sono consapevoli – non potrà tornare.

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