domenica 29 dicembre 2013

In silenzio, di Luigi Pirandello



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Diario di una mafioso emigrato, di Dino Nicolia



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Dalla Terra alla Luna, di Jules Verne



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Povera gente, di Fëdor Michajlovič Dostoevskij



Povera gente è il primo romanzo di Fëdor Michailovič Dostoevskij, che riuscì a scrivere in nove mesi. Fu pubblicato per la prima volta nel 1846, e fu subito acclamato dal critico letterario Vissarion Grigor'evič Belinskij, che definì l'autore come il nuovo Gogol'. Infatti questo romanzo è in parte ispirato al racconto di Gogol'Il cappotto, di cui il protagonista maschile è un copista. Proprio come il racconto di Gogol', Povera gente dà un resoconto delle vite dei russi di umili condizioni nella metà del XIX secolo.
La trama del romanzo è molto semplice,riesce a comunicarci tutto il dramma della povertà della gente dell’epoca. 
Siamo nella prima metà dell’ottocento e il protagonista è un uomo di una certa età che arriva a ridursi sul lastrico per garantire piccoli doni alla ragazza di cui è innamorato (confetti, stoffe e merletti, libriccini…). 
Il loro è un rapporto platonico, fatto di rari incontri fugaci magari durante la messa e di lettere in cui si raccontano di loro stessi e si dimostrano grande affetto e premura. Lei orfana e ospite da una donna ricca che pare offrirle favori solo per raccontarlo nei salotti, ma senza nutrire per la ragazza il minimo affetto. Si leggono riflessioni sulla vita così intense da pungere come spilli.

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Addio amore!, di Matilde Serao



Napoli, 1880. Due giovani sorelle, Anna e Clara Acquaviva, di nobile famiglia, rimaste orfane, sono affidate alla tutela di un nobile napoletano, amico di casa. Anna, la più giovane delle due, di temperamento sensibile e irrequieto, presto si innamora del tutore e gli dichiara il suo amore minacciando il suicidio. Sorpreso ma attratto dalla sua affascinante giovinezza, il tutore la sposa. Tuttavia, dopo un breve periodo di serenità, il rapporto viene disturbato dall'invidia e dalla gelosia di Clara che, insidiando il cognato, riesce a intrecciare con lui una relazione. Quando viene a sapere del tradimento, la giovane sposa finisce col togliersi la vita. Il marito muore in un duello con un innamorato della consorte.

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Tre uomini in una barca (per tacer del cane), di JEROME K. JEROME



Tre uomini in barca (per tacer del cane) è un romanzo di Jerome K. Jerome del 1889, nato quasi per un malinteso, visto che l'autore, originariamente, aveva redatto un'opera ricca di notizie storico-letterarie utili per una guida turistica e che doveva intitolarsi La storia del Tamigi. L'editore della rivista sulla quale venne pubblicato il racconto, fortunatamente, pretese di tagliare le digressioni storico culturali e questo fatto sancì l'enorme successo con il quale venne accolto il libro snellito ma pieno di gag umoristiche. Solo in Gran Bretagna il libro vendette un milione e mezzo di copie.

Risalendo la corrente del fiume Tamigi i tre amici Jerome, Harris (l'uomo più prosaico della terra) e George (che «va a dormire in una banca tutti i giorni dalle 10 alle 16, tranne il sabato quando lo cacciano fuori alle 14»), assieme al fedele cane Montmorency, viaggiano per giorni sulla loro imbarcazione, scorrendo lungo le campagne inglesi, e vivono sempre nuove e inattese avventure che strappano risate di continuo. Il viaggio è costellato da una serie di gag comiche sulle gioie e sui dolori della vita in barca (quali le peripezie sul trasporto delle vivande, la costruzione della tenda sulla barca, i pericoli di cadute in acqua), unite a divertenti divagazioni che costituiscono storie a sé stanti, nel miglior stile dello humour inglese: celeberrimo è il racconto dello zio Podger alle prese con un quadro da appendere. Il tutto condito da descrizioni realistiche delle regioni attraversate dalla simpatica brigata e brevi notazioni di filosofia per non addetti ai lavori.

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La simmetria Imperfetta, di Johan Johansson


Racconto dall’avvincente struttura ipertestuale che ne permette una lettura “a specchio” ci narra avventure
che sono anche un viaggio all’interno dell’anima del protagonista e di chi ne leggerà la storia.
«Guarda! – proseguì il rapace scrivendo finalmente in islandese: – Tutto può stare nelle tue mani, ma le tue mani non lo possono pensare!»


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Le ribelli, di Nando dalla Chiesa


Sui fondali della lunga storia della lotta alla mafia si stagliano alcune figure femminili. Sembrano le maestose protagoniste di una tragedia greca. Recitano la parte assegnata loro dal Fato onnipotente, a cui anche gli dei devono inchinarsi. Ma la recitano con coraggio, dignità e fierezza superiori. Il libro sceglie in questa storia sei scene cariche di significato, di pathos invincibile. Sei scene che susseguendosi dagli anni del dopoguerra agli inizi di questo millennio disegnano anche una particolarissima storia della mafia e della lotta condotta contro di essa dalla parte più nobile della società italiana. Francesca Serio, la madre del sindacalista contadino Salvatore Carnevale. Felicia Impastato madre di Peppino, l'ormai celebre protagonista dei "Cento passi". Saveria Antiochia, la madre del poliziotto Roberto, ucciso con il "suo" commissario Ninni Cassarà. Michela Buscemi, due fratelli vittime di Cosa Nostra, contigui agli ambienti dei clan, eppure coraggiosa parte civile al maxiprocesso di Palermo. Rita Atria, sorella di Nicola, giovane boss dello spaccio, diciassettenne collaboratrice di Borsellino e disperatamente suicida dopo la strage di via D'Amelio. Rita Borsellino, sorella dello stesso giudice, nei fatti simbolo più alto di questa ribellione, fino a venire candidata al governo della Sicilia, teatro della tragedia infinita.

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venerdì 27 dicembre 2013

Una giornata, di Luigi Pirandello


Il piccolo libro, che compare come una mini raccolta dei racconti presenti in "Novelle per un anno", racchiude tutti i temi, gli stili e le forme che Pirandello ha sempre utilizzato durante la sua vita. L'umorismo pirandeliano, inconfondibile, è molto calcato in quei 15 racconti brevi presenti in "Una giornata".
Le quindici novelle hanno poco in comune se non che dodici di queste sono scritte negli ultimi anni della vita dello scrittore siciliano.
Le novelle sono molto diverse tra loro, c'è la sofferenza, che porta alla pazzia, l'umorismo delle piccole cose, descrizioni di scene che  giocano sull'astuzia e sulle parole dei personaggi.


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Dio me ne scampi dagli Orsenigo, di Vittorio Imbriani



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I decaduti, di Maksim GORKI


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Olanda, di Edmondo De Amicis



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giovedì 26 dicembre 2013

CHITRA, di RABINDRANATH TAGORE



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Il dolore nell'arte (discorso), di Antonio Fogazzaro


Ho pensato di scegliere nell′ opera mia e di raccogliere in un volume alcuni fra i Discorsi che scrissi in epoche diverse e intorno ad argomenti diversi. Ho posto da banda quelli di troppo antica data perchè all′età loro non si conviene più di viaggiare il mondo, e quelli sulla teoria dell′Evoluzione perchè il ciclo non n′è forse ancora chiuso e mi propongo, per la singolarità della materia, farne più tardi un volume a parte. Mi permisi invece d′introdurre fra i discorsi due articoli di Rivista. Accanto alla commemorazione di Giacomo Zanella mi parve opportuno porre lo scritto intitolato " Giacomo Zanella e la sua fama " che uscì nella Nuova Antologia cinque anni dopo la morte del Poeta. Così alla commemorazione di Antonio Rosmini accoppiai lo scritto sul filosofo roveretano che comparve pure nella Nuova Antologia. Il libro potrà giudicarsi inorganico; tuttavia confido che almeno qualche lettore attento vi sappia discernere un segreto nesso delle parti, una immagine di quell′ambiente vario nella unità onde ciascun giudizio, ciascun sentimento espresso nelle seguenti pagine ripete la origine sua.
Antonio Fogazzaro.


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IL RE DELLA CAMERA BUIA, di RABINDRANATH TAGORE



Rabindranath Tagore, nacque a Calcutta il 6 maggio 1861. Fu uomo dagli interessi eclettici dedicandosi alla poesia, al teatro, alla musica e alla pittura. Nato da una delle più illustri famiglie del Bengala è stato il creatore della nuova letteratura bengalica.
Frequentò le scuole a Calcutta fino al diciassettesimo anno di età, quando fu mandato a studiare legge e letteratura in Inghilterra; la sua permanenza qui durò solo un anno dopodiché tornò in patria e cominciò la sua attività letteraria.
La sua opera è immensa; scrisse non meno di 2000 poesie, delle quali lui stesso compose la musica. Sebbene non possa definirsi un filosofo, non avendo dato sistemazione alle sue idee in un sistema organico, tuttavia le sue meditazioni non lo fanno sfigurare tra i maggiori pensatori dell'India, paese che ha notevoli tradizioni speculative. Persino con la pittura, interesse che occupò gli ultimi anni della sua vita, cercò di dare forma ai suoi pensieri, sempre degni di attenzione e fecondi di riflessioni interessanti.
Tagore è tuttavia conosciuto in Europa soprattutto come poeta lirico e principalmente attraverso le traduzioni inglesi, che egli stesso curò. Gitanjali e Sâdhanâ, entrambe pubblicate a Londra nel 1913, furono le opere che lo resero famoso e che in pratica lo condussero nello stesso 1913 al conferimento del premio Nobel e che rimasero sempre le più lette e apprezzate. Sono raccolte di canti intrisi di spirito religioso e amore divino, e soffusi di melanconia per un bene perduto: la natura è la grande manifestazione di Dio, il manto di cui Egli si ricopre per svelarsi all'uomo. Questa religiosità unita all'ardore spirituale resero il poeta celebre in tutto il mondo. Tuttavia non è facile riproporre l'armonia musicale che Tagore riesce a infondere nei suoi versi, neppure nelle migliori traduzioni nelle quali i suoi versi perdono comunque una buona parte dell'incanto che li caratterizza nell'originale.
Molto minore il favore riservato dal pubblico ai suoi drammi; gli stessi critici indiani hanno spesso sorvolato sul valore del suo teatro. In generale l'azione è debole, l'intreccio insufficiente, i caratteri poco delineati. L'allegoria non sempre risulta chiara, e le persone parlano e operano con un distacco che spesso appare non naturale, di sogno. Però il mondo in cui i personaggi si muovono è in diretta continuazione con i fantasmi lirici di Tagore; ritroviamo lo stesso ardore religioso, la medesima nostalgia dello splendore dello spirito divino. Secondo taluni quindi è proprio nei drammi che maggiormente si afferma l'originalità del poeta. I drammi che egli scrisse sono molti e appartengono tutti alla sua maturità poetica: SannyāsīCitrāRana o RattiSaradotsab (Festa d'autunno), DakgharMuktadhārā (Collana di perle), Raktakaravīr (Oleandri rossi), Natīr Fūjā (Offerta della danzatrice). Il primo dramma fu da lui scritto a quattordici anni; si intitolava Vālmikīpratibhā (Il genio di Vālmiki) e fu rappresentato nel palazzo dei Tagore a Calcutta.
Notevole è l'attività di Tagore come scrittore di novelle e di romanzi, pervasi dalla medesima visione della vita, dallo stesso senso divino. Ma rispetto ai drammi, i caratteri risultano meno scialbi e monotoni, anche se tutti risultano mossi da uno stesso piano ideale. La schematicità dei simboli appare superata e si ritrova una intensità psicologica del tutto diversa se paragonata appunto a quella che può riscontrarsi nelle opere teatrali.
Gorā (tr. it., Lanciano 1935), narra la storia del figlio di genitori irlandesi, perduto durante la rivolta del 1857, e allevato da una famiglia bengalica ortodossa. Egli cresce nell'odio degli inglesi fino a che quella che egli credeva sua madre non gli rivela la verità. I contrasti della società indiana sconvolta dai contatti con la cultura occidentale e indecisa fra le vecchie tradizioni e le nuove idee non ancora maturate in fondo agli animi sono messi in luce con notevole efficacia. Per un lettore occidentale può essere difficile ritrovare l'analisi psicologica alla quale siamo abituati dalla tradizione del romanzo europeo, ma l'efficacia rappresentativa è notevole e solo in S. Chandra Chatterji si potrà trovare uguagliata e superata. Anche Ghare bāire è dominato da motivi sociali; il problema centrale si impersona nell'eroica Bimalā la quale si ribella al costume antico che legava per arbitrio paterno i destini dei giovani senza tener conto delle loro volontà e dei loro sentimenti; amore senza passione, convivenza subita e non scelta: ma intorno alla figura e al tema centrale vive tutta l'India con le sue agitazioni, i suoi dubbi, i suoi tentativi di acquistare l'indipendenza.
Ancora più efficace risulta essere come scrittore di brevi novelle, precise nei caratteri e nelle forme, e magistralmente rifinite: l'equilibrio raggiunto in Lipikā è difficilmente riscontrabile in altre opere di questo autore; si tratta di brevissimi racconti pregevoli anche per la sperimentazione linguistica: il linguaggio del popolo giunge a dignità di linguaggio letterario con grande decisione.
Tagore risulta essere anche il più importante critico letterario dell'India moderna; il suo Sāhityaparicaya (Investigazioni letterarie) è una serie di saggi sullo spirito della letteratura indiana. Grande conoscitore anche di letteratura sanscrita, ha lasciato saggi importanti sull'argomento.
La traccia profonda lasciata da Tagore nella vita civile dell'India moderna la troviamo testimoniata nella sua opera autobiograficaJībansmrti (1912).
Morì a Santi-Niketan Bolpur il 7 agosto 1941.


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Unria sfida al polo, di Emilio Salgari


Come la maggior parte dei libri salgariani, la trama è avvincente. La mano della bellissima ed intrepida americana Ellen Perkins è contesa da due altrettanto coraggiosi sportivi: il canadese, di ascendenza francese, e aristocratico Montcalm e lo statunitense e borghese Torpon. Affinché uno dei due riesca a sposarla, deve trionfare sull'altro in una serie di imprese pericolosissime ed ai limiti della legge, che però finiranno sempre in parità. Allora la donna lancia una sfida ancora più azzardata: raggiungere il Polo Nord, allora non ancora scoperto, in automobile, mezzo di trasporto ai suoi albori. Il viaggio dei due incomincia e naturalmente gli esploratori sono ostacolati da nuumerosi imprevisti. Salgari sceglie di narrare solo il viaggio del canadese, che si scontrerà con il duro e implacabile clima, con le tribù locali di esquimesi e con le fiere che popolano le sperdute e selvagge regioni che devono attraversare, come orsi, lupi, buoi muschiati e trichechi.
Riuscirà la squadra di Montcalm, composta oltre che dallo stesso canadese, da uno studente e sportivo inglese e da un tetro ed oscuro ex-baleniere, a raggiungere il Polo Nord prima dell'avversario?
Questo libro presenta molte analogie con "Al Polo Australe in velocipede", altro romanzo di salgari dedicato alla conquista del Polo. Infatti, in entrambi vi è una sfida, anche se diversa è la causa: in questo romanzo è per conquistare la mano di una donna. La narrazione è scorrevole e piacevole, intervallate, come al solito, da interessanti excursus, il cui obbiettivo è erudire il lettore sui vari fenomeni ed animali del Polo. Interessanti anche i personaggi: interessante l'idea che i due protagonisti, Montcalm e Torpon, siano perseguitati dal destino e continuino a pareggiare in molte gare precedenti la sfida al Polo; inoltre originali, a mio modesto avviso, le figure dei due accompagnatori di Montcalm: lo studente inglese Walter Graham, sempre di buon umore e assai chiaccherone e Dik Mac Leod, completamente l'opposto del giovane, tetro, taciturno, rude, che rende perfettamente l'idea di un uomo temprato da una lunga vita di fatiche e esperienze.
Consiglio questo libro, così come gli altri precedenti, non solo a tutti gli amanti dell'autore e delle storie di avventura, ma anche, considerando la piacevolezza della lettura, a tutti gli amanti delle letteratura in generale.

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Il romanzo nel tram, di Benito Pérez Galdós



Benito Pérez Galdós, considerato il più grande scrittore spagnolo dopo Cervantes, nacque a Las Palmas (Canarie) nel 1843. Poco meno che ventenne si trasferì a Madrid per studiare Diritto. Nel 1873 venne pubblicata la prima serie di “Episodi Nazionali” una storia romanzata della vita spagnola nel XIX secolo in quarantasei volumi, cui seguiranno alcuni dei più celebri romanzi della narrativa iberica dell'Ottocento, resi celebri dalle trasposizioni cinematografiche che ne fece Luis Buñuel. Morì nella sua casa di Madrid il 4 Gennaio 1920

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lunedì 23 dicembre 2013

Cantico di Narale, di Dickens



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domenica 22 dicembre 2013

Fabia, di Gaetano Chelli


Il manifesto del Valle aveva annunciato la beneficiata di Fabia Leoni colla Signora dalle camelie.
C'era in teatro il pubblico delle grandi occasioni: quello che intona, per così dire, la solennità di uno spettacolo. D'altronde, mentre si aspettava di vedere la Leoni fare una creazione di carattere di Margherita Gauthier, i bene informati asserivano che i fiori ed i regali destinati alla "seratante" erano proprio una cosa da sbalordire.
Fabia aveva fatto la fortuna della stagione, passando, dalla prima recita in poi, di trionfo in trionfo. Si era entusiasti della sua bellezza, come della sua bravura, e, correndo il di lei nome sulle bocche di tutti, era diventato decisamente di moda l'occuparsi di lei.

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L'eredita' Ferramonti, di Gaetano Chelli


Pier Paolo Pasolini definì Chelli, “dopo Verga e prima di Svevo, il più grande narratore italiano dell’Ottocento”. Impersonale quanto lucidissimo osservatore della realtà politico-sociale, lo scrittore costruisce una straordinaria sceneggiatura in cui si intrecciano abilmente il romanzesco, l’avventuroso e la spietata analisi psicologica. Irene, l’affascinanate ed ambigua protagonista della storia, è la tenace interprete della voracità e dell’intraprendenza generate dal desiderio malefico ma irresistibile della roba..

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Piccolo mondo moderno, di Antonio Fogazzaro


L'autore riprende la storia di Franco e Luisa da dove la aveva lasciata e racconta della morte del protagonista durante la guerra.

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IL fiasco del maestro Chieco, di Antonio Fogazzaro



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Amorl, di Carlo Dossi


A trentotto anni, nel 1887, Carlo Dossi chiudeva con Amori la sua carriera pubblica di scrittore. (Ma avrebbe poi continuato, per vent’anni, in segreto, a stillare i geniali veleni delle Note azzurre). Questo esile, delizioso commiato dalla letteratura si presenta come evocazione di un ventaglio di donne amate. Ma, per uno spirito così naturalmente dedito all’artificio, fantasticatore e narciso, un simile progetto non poteva certo prendere la forma di concrete storie d’amore. Vi troveremo, invece, una sequenza di sogni, delicata e ironica, dove la prima donna è ovviamente di carta (la Regina di Cuori) e altri sono «cari amori di legno, di stoffa, di porcellana», omaggi a singoli feticci di un’immaginazione felicemente discordante dall’Italietta che la circondava. E, infine, anche le donne reali sembrano figurine araldiche, descritte per altro non senza corrosiva malizia. «Sono Amori» scrisse Lucini «descritti con ali di farfalla»: e perciò si posarono sulla carta tenuissima di una finta edizione giapponese, di cui qui riproduciamo la copertina e i fregi, opera di Luigi Conconi, in un gusto che congiungeva l’ironia romantica del maestro Jean Paul e la devozione all’Oriente dei decadenti francesi. E, dietro queste amabili squisitezze, riconosciamo subito, anche qui, la voce capricciosa e aerea, le impeccabili notazioni grottesche, l’acida comicità e l’avvolgente malinconia del grande Dossi, ospite inatteso di una letteratura che sembrava ignorare proprio le sue qualità, e le ignorò ancora a lungo, finché la situazione si è rovesciata – e proprio Dossi ci appare, fra i nostri scrittori di quegli anni, quello più amico della nostra sensibilità, quello che ha cavalcato con più leggerezza l’onda del tempo. L’edizione, curata dal maggiore studioso del Dossi, Dante Isella, si arricchisce del carteggio finora inedito tenuto dall’Autore con amici, artisti ed editori in occasione della stampa di Amori.

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giovedì 19 dicembre 2013

Il sosia, di Fëdor Dostoevskij



Il "nostro eroe" (come lo chiama l'autore), o protagonista della storia è il consigliere titolare Jakov Petrovič Goljadkin, di cui è descritto passo dopo passo il degrado psicologico, fino al raggiungimento della follia vera e propria.
Jakov Petrovič è innamorato della figlia del proprio superiore, Klara Olsuf'evna; dopo essere stato vergognosamente cacciato da una festa presso il palazzo di lei, incontra una curiosa figura che non solo gli somiglia in maniera impressionante, ma porta anche il suo stesso nome, oltre ad aver vissuto la sua stessa storia e provenire dal suo stesso paese. Egli lo segue in ogni luogo, ed è presente specialmente nelle situazioni più goffe e imbarazzanti: col suo sorriso beffardo e le sue battute pungenti non esita a umiliare ulteriormente il protagonista della storia.
Questo Goljadkin minore, come lo chiama l'autore, si rivelerà infatti un vero e proprio antagonista del Goljadkin maggiore: lo metterà in ridicolo davanti a tutti i colleghi e otterrà la fiducia delle persone più autorevoli della società pietroburghese, a discapito del "nostro eroe", che nel patetico tentativo di salvaguardare la propria dignità e mettere in cattiva luce il suo nemico, perderà ogni briciolo di considerazione da parte di tutti.

Il racconto termina allorché Jakov Petrovič è attirato con l'inganno ad una festa, dove in realtà lo attende il medico Rutenspitz per portarlo in un istituto d'igiene mentale: il sosia del signor Goljadkin si rivela essere una mera proiezione di determinati aspetti della coscienza di questi.

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I piccoli borghesi, di Honore' de Balzac


Un libro su una piccola comunità di borghesi, dominata da un avvocato che viene dalla Francia mediterranea, Théodose de La Peyrade, il solito furbone meridionale. L’avvocato costruisce carriere politiche ottenendo, in cambio, una bella ragazza ingenua e sprovveduta ma ricca di dote. Sullo sfondo c’è il marito Thuillier che domina una povera moglie che gli ha dato eredi, mentre la ragazza è nata da una relazione con la bella Flavie, mentre la regista di tutto è la sorella del marito, Brigitte.
 Tutto sembra andare per il verso giusto – Thuillier si sta avviando alla brillante carriera politica creata da Théodose – quando entrano in gioco un orrendo usuraio – definito il banchiere dei poveri – e un ambiguo cancelliere che tengono in mano l’avvocato pieno di debiti. Qui la trama si ingarbuglia, con Théodose che reagisce colpo su colpo, cercando di portare i suoi nemici alla rovina.
 C’è anche una scatola piena di monete d’oro ritrovata dall’usuraio sotto il letto di un vecchio morente e poi il romanzo resta incompiuto. Oggi il libro rimane interessante non per la denuncia dell’ambiente dei piccoli borghesi che hanno soppiantato la vecchia borghesia, né per la tipizzazione, comunque riuscita, dei vari personaggi: il brillante avvocato imbroglione, il pensionato statale che tenta l’avventura politica, la sorella di lui grande organizzatrice di tutto, la ragazza ignara, l’usuraio, più una pletora di personaggi di contorno, compresa la famiglia Phellion, unica macchia di ideali sinceri e onesti.

Quello che colpisce ne I piccoli borghesi è la descrizione minuta, quasi maniacale, dei meccanismi economici. Cambiali che passano di mano, debiti che si accumulano, compravendite di palazzi con speculazioni da Roma anni cinquanta, resoconti notarili, note catastali, tutti i conti familiari con informazioni precise su attività e passività. Il capitalismo, sembra dirci Balzac, è prima di tutto contabilità.

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I figli dell'aria, di Emilio Slagari


Pechino, l'immensa capitale del più popoloso impero del mondo, che da migliaia d'anni si erge, al par di Roma, come sfida al tempo, a poco a poco s'immergeva fra le tenebre.

 Le immense cupole a scaglie azzurre dai riflessi dorati dei giganteschi templi buddisti; i tetti gialli dal lampo accecante degli sterminati palazzi della corte imperiale; i mille ghirigori di porcellana del tempio dello spirito marino che racchiude le tre incarnazioni del filosofo Laotsz; i candidi marmi del tempio del cielo; le tegole verdi del tempio della filosofia; la foresta immensa di guglie e d'antenne sostenenti mostruosi draghi dorati cigolanti alla brezza; le punte arcuate di metallo dorato delle torri, dei bastioni, delle muraglie enormi della città interdetta, scomparivano fra le brume della sera.

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Ciascuno a suo modo, di Luigi Pirandello


In un paese della Sicilia, durante una battuta di caccia vengono uccisi due uomini, il farmacista Manno e il dottor Roscio. Poiché il primo aveva ricevuto negli ultimi tempi diverse lettere minatorie, a causa delle sue presunte relazioni extraconiugali, si giunge all'ovvia conclusione che l'obiettivo dell'omicidio fosse lui, mentre il secondo solo un testimone ed una vittima innocente. Le indagini seguono la pista del delitto d'onore e portano all'arresto del padre e dei fratelli di Rosina, servetta adolescente forse sedotta da Manno.
Paolo Laurana, insegnante liceale che lavora a Palermo, marginale rispetto alla vita di paese, con un passato di militanza comunista, considerato asociale ma innocuo dalle forze dell'ordine, è convinto che la storia non sia così semplice come appare, perché aveva potuto vedere prima degli omicidi una delle lettere minatorie ed aveva notato che le lettere di giornale con cui era composta provenivano da una copia dell'Osservatore Romano, un'improbabile lettura per gli accusati: pastori analfabeti. Rende partecipi dei propri sospetti Luisa, la vedova del dottor Roscio, forse il vero obiettivo dell'assassino, e il cugino di lei, l'avvocato Rosello, importante notabile del luogo. Mentre la prima aiuta Laurana nella sua indagine personale, Rosello accetta di prendersi carico della difesa degli innocenti agli arresti.
Laurana incontra gli unici destinatari locali del quotidiano vaticano: il curato di Sant'Amo, religioso di scarsa vocazione, votato piuttosto a "salvare" dalle piccole chiese di campagne oggetti artistici a favore di danarosi collezionisti privati, che gli è d'aiuto nel capire che sotto le placide apparenze della vita del paese si nascondono intrighi pericolosi; l'arciprete, zio di Luisa e Rosello, che li ha cresciuti come figli.
Prosegue poi le sue indagini a Palermo, dove l'antica amicizia con un deputato comunista gli permette di scoprire che Roscio si era recato a Roma per denunciare le attività illegali di qualcuno di cui però non aveva fatto in tempo a rivelare il nome. Presso il padre di Roscio, luminare della medicina ridotto alla cecità, trova il diario nel quale l'assassinato ha preso nota di una serie di accuse a carico dell'avvocato Rosello. Quando poi vede quest'ultimo in compagnia di Raganà, un famigerato malavitoso, si convince definitivamente che il mandante dell'omicidio sia proprio colui che era riuscito a sviare brillantemente qualsiasi sospetto con la generosa difesa dei presunti assassini.
Laurana decide di rivelare a Luisa il contenuto del diario, depositato per precauzione in una cassetta di sicurezza, esprimendole però anche le proprie perplessità sul suo stretto rapporto con il cugino. Lei ammette che da giovani erano stati sentimentalmente legati, ma lo zio arciprete aveva impedito che si potessero sposare e l'aveva costretta ad un matrimonio con un uomo che non aveva mai amato. Luisa sembra disposta, malgrado questo, a sostenerlo nelle accuse contro Rosello, e Laurana è ben pronto a credere alla donna di cui si è infatuato.
Ma questa attrazione gli sarà fatale. Dopo essere scampato ad un primo tentativo di Rosello di liberarsi definitivamente di lui, commette l'errore di raccontare a Luisa che si è salvato solo grazie ad un bluff, vantando l'esistenza di un diario delle proprie indagini che in realtà non esiste. La donna lo tradisce abbandonandolo al proprio destino in un luogo solitario, dove viene raggiunto dai sicari che lo uccidono.



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Nuovi racconti straordinari, di Edgar Allan Poe



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Racconti straordinari di Edgar Allan POE


Il volume raccoglie una piccola selezione dei racconti scritti da Poe. Precisamente 15 bellissime storie tratte da “Racconti straordinari“, “Racconti grotteschi e seri” e “Nuovi racconti straordinari“.
Un piccolo assaggio, dunque, della fantasia di questo incredibile autore, che, con i suoi scritti, ha sondato la psiche e l’animo umani, ne ha colto le debolezze, morali e intellettive, ha messo a nudo le angoscie, descrivendo, con uno stile inquietante, decadimenti e miserie dell’uomo.
Non c’è posto per il sorriso in questi racconti. Si leggono senza riuscire a smettere di leggere. Ci si immedesima nel protagonista, si soffre con lui, perfino. L’orrore dipinto da Poe è l’orrore cupo e psicologico, che riflette la sua tormentata vita, le sue mancanze, i suoi errori, le sue sofferenze senza lenimento.
Racconti che resteranno nella storia, come le splendide pagine de “Il pozzo e il pendolo“, o “Berenice“, o l’angosciante “Gli occhiali“, incredibile eppur reale. Il famoso “I delitti della Via Morgue” ci fa entrare in un’atmosfera diversa, ma pur sempre carica di mistero e aspettativa.

Poe descrive il lato lugubre, triste e tetro del mondo. Descrive se stesso in una prosa che non ci lascia indifferenti. Affronta temi, come la follia e la morte, con una naturalezza sconvolgente, con una maestria che lascia disorientati.

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mercoledì 18 dicembre 2013

martedì 17 dicembre 2013

Fosca, di Iginio Tarchetti

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Commetto io un’indiscrezione nel pubblicare queste memorie? Credo di no; né una titubanza piú lunga, giustificherebbe ad ogni modo la mia colpa. Colui che le ha scritte è ora troppo indifferente alle cose del mondo, troppo sicuro di sé, perché abbia a godere dell’elogio o a soffrire del biasimo che può derivargliene. Egli sa per quale strana combinazione questo manoscritto è venuto in mio potere, né ignora il disegno che io aveva concepito di publicarlo. Gli basterà che io vi abbia tolte quelle indicazioni che potevano compromettere la fama di persone ancora viventi, e che il segreto della sua vita attuale sia stato rispettato.
Se l’autore di queste pagine può ancora trovare nella solitudine e nell’egoismo in cui si è rifuggito, qualche parte di ciò che egli fu un tempo, non gli farà forse discaro che altri abbiano a versare, nel leggere queste memorie, quelle lacrime che egli ha certo versato nello scriverle.

Milano, 21 gennaio 1869
 
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L'altare del passato, di Guido Gozzano

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Racconti che tratteggiano una borghesia fine secolo animata da vecchi nobili nostalgici di stagioni più felici, da anziane signore che vivono nel ricordo di un antico amore, da ex ballerine favorite di regnanti rinchiuse nell'isolamento della decadenza e della vecchiaia
 
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Restituzione, di Dorotea Gerard

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Dall'incipit del libro:

"Il giorno 12 di Agosto 1861, sorse bello e raggiante sopra le pianure della Lituania. Dalle immense foreste paludose, s'innalzavano dei leggeri vapori  simili a veli, con i quali la terra - sposa timida e vergognosa - cercava di nascondere il volto al suo conquistatore il sole, fremente al vittorioso contatto, allorchè si chinò per baciarla. All'atto in cui essa riceveva questo bacio, ogni goccia di rugiada sui rami delle betulle e degli abeti si trasformò in un diamante; ed ogni filo d'erba ondeggiante sul suo stelo divenne simile a filigrana d'argento. Dal paesaggio spirava la pace estiva."

 
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lunedì 16 dicembre 2013

domenica 15 dicembre 2013

Storie allegre, di Carlo Collodi

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“Quando lo conobbi io, aveva appena dieci anni. Di nome si chiamava Gigino.
 Non era né bello né brutto. Aveva un par d’occhietti cerulei: i capelli biondissimi, d’un biondo chiaro come la stoppa: il naso un po’ ritto e voltato in su e le gambe un tantino magre più del bisogno.”
E’ una delle storie contenute nel libro di Collodi “Storie Allegre” , insieme a “Una mascherata di carnevale” e  a “Dopo il teatro”.  Devo dire che è anche quella che ho apprezzato di più.
“Storie Allegre”  è una raccolta di racconti, che mi ha fatto conoscere meglio Collodi, come uno scrittore non solo per bambini e ragazzi ma anche per adulti. Le sue storie si rivolgono a tutti, grandi e piccini. E’ proprio uno dei più grandi scrittori dell’Ottocento.
“L’omino anticipato “è il racconto di un ragazzino Gigino,  che come molti ragazzi vogliono sembrare uomini prima del tempo. Mentre “Una mascherata di Carnevale ” racconta di un bambino Cesarino che ogni volta che andava o tornava da scuola, si fermava a leggere tutti i cartelli dei teatri, che erano la sua grande passione. Cesarino si divertiva molto e se per caso si trattava di commedia rideva al solo pensiero. Mentre “Dopo il teatro” è il dialogo di Alfredo, Gino e Ida rientrati appunto da teatro.
Storie brevi e allegre da leggere pochi minuti anche alla sera ai bambini, perchè comunque divertenti e con un significato ben preciso.

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I racconti delle fate, di Carlo Collodi

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Nel 1875, sei anni prima di scrivere Pinocchio, Collodi accetta dall’editore Paggi di Firenze un incarico che dapprima lo incuriosisce e lo attrae e alla fine lo appassiona: quello di tradurre dal francese le fiabe di Charles Perrault, l’insuperato maestro di un genere che tra il Sei e il Settecento toccò il suo apice alla Corte del Re Sole, lasciandoci quei capolavori della letteratura infantile che sono ancora oggi il patrimonio fantastico di bambini e adulti, da Cappuccetto Rosso alla Bella addormentata nel bosco, da Cenerentola a Barba-blu, al Gatto con gli stivali. A queste fiabe Collodi ne aggiunse altre delle maggiori favoleggiatrici francesi del Sei-Settecento, Madame d’Aulnoy e Madame Le Prince de Beaumont, scrittrici di raffinata eleganza e delicata sapienza psicologica. Egli però non si limita a tradurre con impareggiabile aderenza: spesso il suo istinto narrativo lo porta a colorire e vivificare il linguaggio un po’ inamidato degli originali, mettendovi tocchi di arguzia toscana e di spontaneità popolaresca. E la Corte di Versailles si trasferisce così, con il suo seguito luminoso, in una Toscana granducale e umile.
I racconti delle fate ebbero immediato successo e segnarono una svolta nella vita dell’autore, avvicinandolo a un genere che doveva renderlo immortale. Essi vengono qui riprodotti integralmente, con le illustrazioni di Doré, e offrono almeno due motivi di grande fascino: ci restituiscono in una lingua viva, comunicativa, parlata, i vertici della favolistica europea e sono al tempo stesso una anticipazione felicissima – sul piano del talento linguistico e inventivo – della creazione di Pinocchio.


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Ragazzi grandi

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Non è ozioso elencare i «ragazzi grandi», rappresentando volutamente ognuno di essi una fisionomia. Tutti tra i venticinque anni e i quaranta: Federigo, politico dell'opposizione, opportunista; Clarenza, moglie di Federigo, ipocrita e scontenta; Norina, sorella minore di Clarenza, giovane vedova svanita e ambiziosa; Mario, conte disoccupato, nipote del ministro, separato da poco dalla moglie; Emilia, moglie di Mario, sospetta di adulterio; Valerio, uomo d'affari e socio segreto di Federigo, infatuato di Norina, uomo mediocre; Leonetto, direttore del giornale, donnaiolo e pennivendolo; Ortensia Sorbelli, marchesa protettrice di Leonetto, donna-padrona; marchese Sorbelli, marito di Ortensia, utile idiota; Sua Eccellenza, ministro in visita; segretari, fantesche, comparse. Le loro trame, d'amore, di potere, di denaro, all'ombra della neonata Nuova Italia, Collodi nel 1873 intricò e districò per ventitré puntate sul giornale «Fanfulla», non immune dalla moda del romanzo naturalistico francese. Ma dai caratteri dell'elenco si capisce anche che niente di arcigno, nessuna denuncia o deprecazione grave può venire dall'autore di Pinocchio. Piuttosto un divertimento - e maliziosamente attuale - sul tema dell'ambizione esagerata e defatigante che certe volte sembra conquistare il mondo, sull'eccitazione spettacolare e inconcludente che a Collodi strappa una domanda di disincanto: a che pro?

 
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Le avventure di Pinocchio, di Carlo Collodi

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Le avventure di Pinocchio. Storia di un burattino è un romanzo scritto da Carlo Collodi (pseudonimo dello scrittore Carlo Lorenzini) a Firenze nel 1881 e pubblicato nel 1883 dalla Libreria Editrice Felice Paggi con le illustrazioni di Enrico Mazzanti. Si tratta di un classico della cosiddetta letteratura per ragazzi, benché grazie al giudizio favorevole di Benedetto Croce, che ne scrisse nel 1903, sia rientrato a pieno titolo nella letteratura. Il romanzo ha come protagonista un notissimo personaggio di finzione, appunto Pinocchio, che l'autore chiama impropriamente burattino, pur essendo morfologicamente più simile a una marionetta (corpo di legno, presenza di articolazioni) al centro di celeberrime avventure.
Il personaggio di Pinocchio - burattino umanizzato nella tendenza a nascondersi dietro facili menzogne e a cui cresce il naso in rapporto ad ogni bugia che dice - è stato fatto proprio con il tempo anche dal mondo del cinema e da quello dei fumetti. Sulla sua figura sono stati inoltre realizzati album musicali e allestimenti teatrali in forma di musical.
Nelle intenzioni di Carlo Collodi pare non vi fosse quella di creare un racconto per l'infanzia: nella prima versione, infatti, il burattino moriva impiccato a causa dei suoi innumerevoli errori. Solo nelle versioni successive, pubblicate a puntate su un quotidiano (il Giornale per bambini diretto da Ferdinando Martini, a partire dal n. del 7 luglio del 1881), la storia venne prolungata anche dopo la sequenza dell'impiccagione, giungendo al classico finale che oggi si conosce, con il burattino che assume le fattezze di un ragazzo in carne ed ossa.
Il calcolo delle copie vendute di Pinocchio in Italia e nel resto del mondo è praticamente impossibile, anche perché i diritti d'autore sono scaduti nel 1940, e quindi a partire da quella data chiunque ha potuto riprodurre liberamente l'opera di Collodi.[] Una ricerca degli anni settanta condotta da Luigi Santucci annoverava 220 traduzioni in altrettante lingue. Ciò significa che, all'epoca, si trattava del libro più tradotto e venduto della storia della letteratura italiana. Una stima più recente fornita dalla Fondazione Nazionale Carlo Collodi alla fine degli anni novanta, e basata su fonti UNESCO, parla di oltre 240 traduzioni.

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sabato 14 dicembre 2013

L'albero del riccio, di Antonio Gramsci

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Antonio Gramsci, durante la sua detenzione, scrisse per i propri figli questa serie di racconti. Tra le tante storie avventurose che narrano di briganti e di animali, molte traggono ispirazione da fatti realmente accaduti. Completano il libro, alcune letture che il grande studioso suggeriva ai figli: racconti di Tolstoj, Puskin, Kipling, Dickens.
 
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Sul fascismo, di Antonio Gramsci

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Il fascismo si è presentato come l’anti-partito, ha aperto le porte a tutti i candidati, ha dato modo a una moltitudine incomposta di coprire con una vernice di idealità politiche vaghe e nebulose lo straripare selvaggio delle passioni, degli odi, dei desideri. Il fascismo è divenuto così un fatto di costume, si è identificato con la psicologia antisociale di alcuni strati del popolo italiano.

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La questione meridionale, di Antonio Gramsci

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Tornato a Roma - da via Vesalio si era trasferito in via Morgagni - ebbe il tempo di passare alcuni mesi con la famiglia - la moglie Giulia e il piccolo Delio, oltre alle cognate Eugenia e Tatiana - che abitano tuttavia in un altro appartamento, in via Trapani: le squadre fasciste, superato da tempo lo smarrimento provocato dal delitto Matteotti, avevano piena libertà d'azione e non era prudente coinvolgere i familiari in loro possibili aggressioni; lo scorso 4 ottobre, a Firenze, era stato ucciso l'ex-deputato socialista Gaetano Pilati, la stessa casa di Gramsci era stata messa a soqquadro dalla polizia il 20 ottobre. Mentre gli esponenti dell'opposizione antifascista prendevano la via dell'emigrazione - Gobetti, che muore il 6 febbraio 1926, venticinquenne, a Parigi, in conseguenza delle bastonate squadriste, Amendola, Salvemini - un processo farsa condannava a una pena simbolica gli assassini di Matteotti, difesi dal capo-squadrista Roberto Farinacci.
La moglie Giulia, che aspettava il secondo figlio Giuliano, lasciò l'Italia il 7 agosto e il mese dopo fu la volta della cognata Eugenia a tornare a Mosca con il figlio Delio: Gramsci non l'avrebbe più rivisto.
Elaborando temi già affrontati nelle Tesi di Lione, in settembre Gramsci iniziò a scrivere un saggio sulla questione meridionale, intitolato Alcuni temi sulla quistione meridionale, in cui analizzò il periodo dello sviluppo politico italiano dal 1894, anno dei moti dei contadini siciliani, seguito nel 1898 dall'insurrezione di Milano repressa a cannonate dal governo Di Rudinì. Secondo Gramsci, la borghesia italiana, impersonata politicamente da Giovanni Giolitti, di fronte all'insofferenza delle classi emarginate dei contadini meridionali e degli operai del Nord, piuttosto che allearsi con le forze agrarie, cosa che avrebbe dovuto comportare una politica di libero scambio e di bassi prezzi industriali, scelse di favorire il blocco industriale-operaio, con la conseguente scelta del protezionismo doganale, unita a concessione di libertà sindacali.
Di fronte alla persistenza dell'opposizione operaia, manifestatasi anche contro i dirigenti socialisti riformisti, Giolitti cercò un accordo con i contadini cattolici del Centro-Nord. Il problema è allora, per Gramsci, di perseguire una politica di opposizione che rompa l'alleanza borghesia-contadini, facendo convergere questi ultimi in un'alleanza con la classe operaia.
La società meridionale, secondo Gramsci, è costituita da tre classi fondamentali: braccianti e contadini poveri, politicamente inconsapevoli; piccoli e medi contadini, che non lavorano la terra ma dalla quale ricavano un reddito che permette loro di vivere in città, spesso come impiegati statali: costoro disprezzano e temono il lavoratore della terra, e fanno da intermediari al consenso fra i contadini poveri e la terza classe, costituita dai grandi proprietari terrieri, i quali a loro volta contribuiscono alla formazione dell'intellettualità nazionale, con personalità del valore di Benedetto Croce e di Giustino Fortunato e sono, con quelli, i principali e più raffinati sostenitori della conservazione di questo blocco agrario. Croce e Fortunato sono, per Gramsci, «i reazionari più operosi della penisola», «le chiavi di volta del sistema meridionale e, in un certo senso, sono le due più grandi figure della reazione italiana».
Per poter spezzare questo blocco occorrerebbe la formazione di un ceto di intellettuali medi che interrompa il flusso del consenso fra le due classi estreme, favorendo così l'alleanza dei contadini poveri con il proletariato urbano.
 
 
 
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