Le opere di Rosaria Tenore

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Chi ha avuto modo di leggere gli altri libri scritti da Rosaria Tenore riconoscerà in queste pagine la genesi del suo stile letterario.
I tratti dei personaggi che popolano le pagine di questo libro; la costrizione della sua narrazione; l’eleganza della sua scrittura, sono i tratti che ho potuto rinvenire anche in tutte le altre opere, compresi i racconti. Si tratta di fotogrammi di un processo evolutivo e di maturazione letteraria come pochi.
Si potrebbe dire che con questo lavoro, ambientato a Cerignola, l’autrice abbia aperto una trilogia, anche se negli altri libri, “Zizì Caterina” e “Mario capagloriosa”, oltre alla biografia dei personaggi protagonisti c’è un grande affresco storico che in questo suo romanzo d’esordio è più attenuato.
In questo lavoro, infatti, la Tenore si è cimentata in un romanzo di assoluta fantasia percorso, dalla prima all’ultima pagina, da un mistero che sarà svelato solo nelle ultime righe.
Eppure in Domenico si può cogliere l’archetipo dell’uomo del sud che nasce dai racconti che l’autrice ha ascoltato da bambina. Domenico è un uomo che porta con sé il senso della tragedia umana, che viene vissuta con la dignità di chi si sente nel giusto. Un uomo che non ha mai chinato il capo di fronte alle avversità che ha dovuto affrontare e al dolore che esse gli hanno portato. Egli è là, nella sua Terra Vecchia, per nulla abbagliato dalle comodità delle case moderne, tra quelle case e quelle pietre dove ha amato e pianto la morte del figlio, dove ha patito la fame e rubato per dare da mangiare alla famiglia, dove ha visto morire la moglie.
E anche la nuora, Immacolata, è un personaggio nel quale si intravvede la figura di donna indipendente, risoluta che sarà meglio descritta in “Zizì Caterina”. Lei che, rimasta vedova di Michele, morto ammazzato, e con un figlio, afferma che mai quel bimbo prenderà la strada del padre. Una donna che ha già fatto un piano per la sua vita e quella del figlio e sa che lo realizzerà anche se dovrà sfidare domineddio.
Michele è lo sconfitto, l’uomo che non ha saputo prendere dal padre quella dignità che gli consente di guardare negli occhi la vita, ma preferisce le scorciatoie che gli offrono le rapine o gli accordi con la camorra napoletana. La sua fine è l’inevitabile epilogo di una vita a cui non ha saputo dare il giusto valore.
Con loro si confrontano, infine ma su piani temporali diversi, Andrea, Teresa e Luis, il soldato francese reduce dalla battaglie combattute con gli spagnoli per il possesso di quelle terre così fertili.
Il romanzo, riletto a distanza di vent’anni, mi ha preso con la stessa passione di quando l’ho letto la prima volta e non dubito che coglierà nello stesso modo anche chi, tra coloro che approfitteranno della possibilità di scaricarlo gratuitamente, si avventurerà a leggerlo per la prima volta.

 

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Questo libro nasce dalle riflessioni che facevamo sulla nostra comune esperienza nell’associazione Arcilettore. Volendo essere anche pignoli, quello che viene narrato riguarda i primi anni di quell’avventura meravigliosa nella quale abbiamo penetrato il grottesco delle amministrazioni locali.
Mi viene in mente, ad esempio, quando, dopo avere realizzato la prima festa del lettore, ci ritrovammo a decidere, con gli assessori, il piano dei finanziamenti per scoprire che non ci sarebbe stata la seconda edizione dell’evento perché l’assessore alla cultura aveva impegnato molti dei fondi per finanziare un libro che sarebbe stato realizzato dalla sua amante.
Il nostro essere alternativi, poi, ci ha procurato non pochi scontri con le prime donne, le carlotte e le camille che sono citate spesso nel lavoro di Rosaria. Eravamo una specie di vento impetuoso che finiva per sconvolgere le fossili gerarchie stabilite da logiche che nulla avevano di meritocratico. Ma in questo Paese non c’è nulla che nasce da una valutazione meritocratica.
Quei dodici anni nei quali operammo furono ricchi di centinaia di animazioni della lettura nei posti piú diversi, altrettanti incontri con gli autori, un premio letterario nazionale per i giovani che ha raccolto migliaia di racconti, un altro premio nazionale sulla scrittura al femminile, feste dei lettori, cinque edizioni del Desenzano Libro Giovani che coinvolgeva un migliaio di giovani lettori ogni anno, Il festival del racconto a Seregno, dye edizioni del festival del libro della migrazione, la difficile realizzazione di una bella rivista, la promozione della lettura tra i giovanissimi che hanno coinvolto tutti i migliori autori per ragazzi, la realizzazione di oltre trenta libri, e tanto altro ancora.
Eppure questo curriculum non era sufficiente a consacrarci presso le amministrazioni e ogni volta mediocri assessori pretendevano di farci l’esame.
Povero Paese!


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Mi riempie di orgoglio presentare un altro libro di questa autrice che amo come scrittrice, oltre che come la mia dolcissima compagna di vita.
Questa opera non ha mai visto la luce in una casa editrice per la loro insipienza e per la loro incapacità di dare il giusto supporto pubblicitario per valorizzare l’opera stessa e farla conoscere.
La straordinarietà di questa avventura, che vede come protagonista uno scrittore, Cesare Montini, nei panni di un intellettuale, dopo sedici anni possiede una straordinaria attualità nella lettura della realtà del nostro Paese. In questa affermazione c’è tutta la frustrazione di un cittadino, ma anche la caratura creativa di una scrittrice come Rosaria Tenore che ha scritto un libro che, pur ispirata a un momento storico caratterizzato dall’apparente irresistibile ascesa della Lega Nord, ha finito per produrre un lavoro che va fuori del tempo e propone l’universalitá di uno scontro tra una politica di potere e il diritto/dovere del cittadino di ribellarsi nel nome di una politica che anteponga gli ideali alla mediocre gestione di interessi contrastanti.
C’è tutto un campionario di realtà che in ogni tempo sono alla base della decadenza morale del nostro Paese e delle politiche che si succedono  annunciando cambiamenti che non si realizzano e che, invece, costituiscono sempre il primato della continuità, per non andare lontano, con il buio periodo fascista. In fin dei conti la legge sull’immigrazione è il nostro moderno “manifesto della razza”che abbiamo saputo produrre.
E cosí c’è il giornalista che ha venduto la propria libertá di pensiero al padrone di turno, in cambio di una relativa agiatezza: c’è la laida figura del vescovo che in nome della realpolitik cerca di mettere la museruola al prete di frontiera, Don Paolo, anche se questa realpolitik nasconde il volto insanguinato della mafia; c’è il vecchio ebreo, Daniele, reduce dai campi di concentramento, che si unisce alla marcia di Montini, spaventato dai rigurgiti di razzismo che non sembrano aver accolto l’insegnamento che ci avrebbe dovuto dare la nostra memoria; ci sono due ragazzi soli ed emarginati che cercano di riscattarsi; ci sono i volti biechi del potere, come Landi e Pasini, che sono disposti anche a uccidere pur di raggiungere i loro scopi; c’è il prototipo del militante del Nuovo Movimento di Landi, il padronicino di una “fabrichetta”che non ha capito niente e involontariamente da una mano decisiva alla riuscita dell’iniziativa di Montini.
E poi c’è tanto amore in questo libro, l’amore di Montini e Anna, o quello un po’piú complicato tra Beppe e Sara; quello giovanile tra i due ragazzi; ma soprattutto c’è l’amore per la gente del nostro Paese, per quella gente che ha sempre combattuto per affermare principi di libertá, di giustizia, di solidarietà, di fratellanza, quei principi che sono nella nostra carta costituzionale e che spesso, troppo spesso, dimentichiamo; in una parola c’è il desiderio di non perdere la speranza di un cambiamento che non divida tra chi è ricco e cerca di diventarlo sempre di piú e chi è povero e sembra condannato a diventarlo sempre di piú.
È un libro imperdibile, che saprá commuovermi fino alle lascrime, darvi il piacere di un sorriso, e, soprattutto, tante occasioni di riflessioni.



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L’amore per la letteratura è una costante della vita di Rosaria, quindi la scrittura è stata una conseguenza logica, l’abbraccio nei confronti di un’attività che ha sempre desiderato intraprendere.

La sua prima opera, però, è stata pubblicata nel 1991 e non è rintracciabile, La vigna di Andrea (anche per questo abbiamo deciso con lei di pubblicarlo gratuitamente on line). Dopo aver frequentato corsi di scrittura con Dacia Maraini e Cerami, ha iniziato a scrivere racconti che sono stati pubblicati in diverse riviste e solo dopo altre esperienze ha maturato l’esigenza di scrivere i libri pubblicati con le case editrici Excogita e Robin.

Prima ha anche pubblicato un libro con un forte contenuto politico con l’Arcilettore (anche quest’opera sarà pubblicata on line tra qualche tempo), l’associazione che lei ha contribuito a fare nascere e vivere per oltre dieci anni.

Tutte le sue esperienze sono caratterizzate dal bisogno di informare sui grandi temi politici e sociali e di farlo attraverso l’uso dello strumento della narrazione.

Queste due esigenze sono anche la chiave di volta per capire il lavoro di Rosaria Tenore. I temi della pace, della convivenza civile e il dialogo tra diverse culture, la conoscenza della cultura tradizionale come memoria da preservare per costruire un futuro di minori ingiustizie, la difesa dell’ambiente, il suo schieramento sempre al fianco degli ultimi e degli emarginati, sono temi su cui non sono solo ha scritto, ma sui quali ha anche lavorato concretamente sul campo.

In questo senso la sua esperienza di lavoro nell’associazione Arcilettore è stata decisamente importante, contribuendo a dare ad essa, come indirizzo esclusivo, l’obiettivo di dare voce a giovani, agli scrittori privi di ogni visibilità, agli scrittori migranti, ai poeti di terre in guerra, alle piccole e piccolissime case editrici.

Il primo racconto, ad esempio, è riferito a un impegno per la pace che, nel bresciano in cui Rosaria vive, ha significato lottare per una riconversione in produzione di pace della fabbrica Valsella, che fabbricava quell’abominio morale e civile che sono le mine antiuomo. Il secondo, invece, nasce da un impegno diretto di Rosaria con poeti e artisti di Monstar, in Bosnia, e dalla convinzione che la pace nasce prima di tutto da una nuova cultura della narrazione e del dialogo. Il terzo (in un territorio che ha visto nascere quel fenomeno razzista, xenofobo e venato di ideologia nazista, che è la Lega) è rivolto al dramma delle diversità etniche e contro le tendenze xenofe. Il quarto nasce dalla intensa collaborazione con associazioni che si occupano di adozioni a distanza a favore dei bambini di strada e di un vescovo di strada di San Paolo del Brasile che ha costruito un rifugio per bambini di strada con l’AIDS, gli ultimi degli ultimi.

Unico lavoro senza uno sfondo particolare è “Mistero glorioso” che ha partecipato a un concorso indetto dalla casa editrice Excogita e con il quale ha vinto la pubblicazione nel volume redatto con la selezione delle migliori opere.

Raccogliendo questi racconti in una pubblicazione on line, crediamo di fare una cosa che possa essere gradita a chiunque ami la letteratura e la lettura.

Inoltre abbiamo intenzione di continuare con altri lavori, altri libri, sempre on line e sempre gratuiti.

 

 

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Il nuovo romanzo di Rosaria Tenore, dal titolo intrigante quanto misterioso “ Meritarsi l’erba”, si connota per un rapporto di discontinuità/continuità con i precedenti “Zizì Caterina” e “ Mario capagloriosa”. La discontinuità è sicuramente nella tematica, mentre sul piano dello stile questo nuovo libro sviluppa quel lavoro sul linguaggio che costituiva uno degli aspetti più innovativi delle due prove precedenti.
Il narratore in terza persona non è il tipico narratore extradiegetico, distante dagli eventi narrati, ma sembra appartenere allo stesso “ milieu” dei suoi personaggi dei quali condivide l’ottica e la lingua, tanto da apparire a volte la voce corale del popolo di Calabbascio.
La sintassi, il ritmo del periodare e spesso il lessico aspro e duro sono infatti di tipo dialettale, non soltanto nei dialoghi in presa diretta dei personaggi, ma anche nelle sequenze narrative attraverso l’uso dell’indiretto libero. E’ una scrittura fortemente mimetica, materiata di cose e di umori, che rende con grande espressività il degrado del reale. Il genere letterario è il “noir” che fotografa una realtà aggrovigliata, frantumata, con un senso di corruzione, di violazione dei valori profondi.
L’autrice descrive il degrado umano e il malessere di una società di provincia che, sotto le anonime apparenze di facciata, vive del “raptus” dell’arricchimento facile e del rapido mutamento di costume. Corruzione e vizio dilagano, mentre la giustizia tarda ad arrivare.
Le “tirate” graffianti nei confronti della giustizia evidenziano il realismo spietato dell’autrice e la sua lucida osservazione del dato dell’attualità.
Ma, con una strategia narrativa molto originale, la struttura del romanzo realistico subisce una “contaminatio” con quella del “fantastico”: ecco allora il personaggio di Gabriele, l’intervento soprannaturale del Maestro, la vicenda degli occhi custoditi in una scatola e destinati alla misteriosa bambina cieca della quale tutti, anagrafe compresa, ignorano l’esistenza.
I personaggi, efficacemente delineati, si possono dividere in due categorie: ci sono i buoni come Incoronata, Nino, Sara, Rosa, Nella la giornalaia, il polacco; e ci sono i personaggi del mondo della violenza senza redenzione e senza giustizia. C’è quindi il contrasto stridente fra ordine e disordine, fra norma e trasgressione.
Il mondo in cui si muovono personaggi apparentemente insospettabili, come Tanino e la moglie o i due tranquilli genitori della bambina cieca, è dominato dal “disordine”, è un mondo alla rovescia, improntato ad una forma di drammatico eccesso, all’osceno superamento della norma comune. E’ indicativo il particolare che nelle situazioni di trasgressione, come la casa di Tanino e la gabbia degli orrori dove è rinchiusa la bambina, ci sia sempre la presenza del diverso, del “corpo malato” ( Cosimino lo zoppo e la piccola cieca). Non c’è ovviamente il disprezzo del diverso, ma il “corpo malato” anticipa e segnala, a mio avviso, una situazione di anomalia rispetto alla normalità del reale, una malattia del corpo sociale.
La vicenda alla fine verrà risolta positivamente, ma ancora una volta attraverso il “disordine”: non sarà la giustizia a rimettere le cose a posto, ma la nonnetta- giustiziera Incoronata mediante il veleno preparato in cucina con la vecchia ricetta della nonna.
Apparentemente il romanzo sembra avere un fiducioso lieto fine con la salvezza della bambina violata dai pedofili e anche con le nozze dei due bravi giovani Nino e Sara, ma non è così. C’è ancora un mondo di disordine in cui la giustizia viene realizzata attraverso un assassinio. Mi sembra indicativo anche l’intervento del valente commissario Giacomino Cutrì: è un funzionario in pensione, non appartiene più al mondo delle istituzioni, è un personaggio che appartiene al passato, ad un momento nostalgicamente evocato in cui le istituzioni funzionavano in difesa del cittadino onesto.
Allora il romanzo assume gli inquietanti contorni di un apologo amaro: in una società senza giustizia, e soprattutto senza la fiducia nella giustizia, torna a trionfare l’istinto tribale della giustizia “fai da te”. Il nome fittizio di Calabbascio non è scelto a caso: indica qualcosa che scende in basso, il degrado di una società, e per questa via il paese di Calabbascio appare la metafora di una realtà che purtroppo ci appartiene.

Il libro di Rosaria Tenore ha vinto il Premio “Marchio Microeditoria di Qualità” per la sezione narrativa.

 

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