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venerdì 29 novembre 2013
Il ritorno di Casanova, di Arthur Schnitzler
Il diario di Eva, di Mark Twain
E' la storia, narrata in prima persona, di Eva nei giorni della creazione del mondo: una Eva soave, ciarliera, romantica, che nomina le cose e gli animali e inventa il fuoco e l'amore.
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giovedì 28 novembre 2013
Memorie dalla casa dei morti, di Fëdor Dostoevskij
L'opera ha la forma di un diario,
di cui l'autore, nella prefazione, attribuisce la paternità a un recluso
immaginario che avrebbe ucciso la moglie in un impeto d'odio (Dostoevskij,
invece, era stato arrestato per motivi politici).
I personaggi dell'opera (cioè i
reclusi condannati ai lavori forzati, ma anche i loro carcerieri e le
figure del popolo russo sullo sfondo) sono descritti facendo emergere la loro
nascosta umanità e i loro sentimenti più profondi. L'autore ha così modo di
inserire nel romanzo delle riflessioni di ampio respiro sulla condizione umana,
specialmente riguardo alle speranze che si provano nei momenti di sofferenza.
Il condannato, osserva Dostoevskij, vive attendendo la propria liberazione, e
tale attesa è tanto più insostenibile quanto più il momento agognato si
avvicina, ma poi, giunta la liberazione, ecco che a una sofferenza se ne
sostituisce un'altra non prevista. E pare infine essere questo il destino
dell'essere umano, qualunque sia la sua condizione sociale.
Dostoevskij propone nell'opera,
quale soluzione al circolo vizioso dell'infelicità umana, i precetti semplici
del Vangelo, l'unico libro di cui i condannati potevano tenere una copia.
Difatti, proprio tra i malfattori, tra i dannati (in cui regna
quella morte a cui allude il titolo del romanzo), tra i sofferenti,
sembra ritrovare valore e senso il messaggio della fratellanza umana, della
condivisione di una sorte di dolore (ma anche di insoffocabile speranza) in cui
brilla la luce di piccoli gesti di carità cristiana, come quando i condannati
sacrificano parte del proprio pranzo per dar da mangiare a un cane randagio che
si aggira per il campo. La stessa forza che i cristiani traggono dalla fede in
un Dio redentore è ravvisata dall'autore anche in personaggi di altre
religioni, come l'ebreo che prega ogni sera ondulando il capo oppure il gruppo
di condannati musulmani che, pur nutrendo diffidenza verso il simbolo della Croce,
leggono con interesse il Discorso della Montagna
Nelle Memorie dalla casa dei
morti fanno quindi capolino i grandi valori della tolleranza religiosa,
della libertà dalle prigionie materiali e morali, della indulgenza verso i malfattori,
cioè verso coloro che, pur essendosi macchiati di crimini contro la legge, sono
in definitiva solamente persone più sfortunate e più infelici, e quindi più amate
da Dio, che vuole la salvezza del peccatore e non la sua condanna. Tutto è
dunque proiettato verso "la libertà, una nuova vita, la resurrezione
dai morti...".
Si veda come, a distanza di
vent'anni, questi aspetti caratterizzanti del pensiero del giovane e
progressista Dostoevskij si rovesceranno completamente nelle riflessioni severe
e conservatrici del Diario di uno scrittore.
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Demetrio Pianelli, di Emilio De Marchi
Cesarino Pianelli,
detto Lord Cosmetico per l'eleganza e la bellezza, è un quasi quarantenne
sposato con la bellissima Beatrice e con tre figli, la dodicenne Arabella e due
maschi più piccoli, Mario e Naldo.
Cesarino gestisce
il circolo Monsù Travet, al quale sottrae duemila lire per pagare debiti di
gioco. Per non essere scoperto prende mille lire alla posta, dove lavora come
cassiere, approfittando dell'assenza dell'altro cassiere Martini, partito per
assistere la moglie morente. Al rientro di Martini, Cesarino viene scoperto:
cerca disperatamente di trovare il denaro per restituirlo ma nessuno lo aiuta,
né il ricco Melchisedecco Pardi, proprietario di una fabbrica di nastri di
seta, con cui è molto amico, né il suocero, che deve ancora versargli una parte
della dote. Cesarino viene denunciato e si toglie la vita impiccandosi nel
solaio della casa. Alla famiglia viene fatto credere che è morto per un malore.
A Milano in quei giorni si festeggia il Carnevale, e Beatrice è tra le donne
più ammirate alle feste.
Cesarino lascia una
lettera per il fratello Demetrio, in cui gli chiede di occuparsi della famiglia
e di riparare il debito di mille lire. Demetrio è figlio dello stesso padre di
Cesarino, ma hanno avuto madri diverse. Demetrio è più anziano di oltre dieci
anni e i due fratelli hanno avuto un'educazione assai diversa, rozza quella di
Demetrio, raffinata per Cesarino. Demetrio è uno scapolo non bello con
abitudini da contadino, vive con uno stipendio da impiegato del Demanio di
mille e quattrocento lire annue. Da anni tra Demetrio e Cesarino erano cessati
i rapporti, e Cesarino parlava del fratello come di una persona avara e
bigotta.
Demetrio accetta di
farsi carico della famiglia del fratello, scoprendo che è pieno di debiti. Il
suocero, Isidoro Chiesa, non è in grado di versare ciò che resta della dote,
perché ha perduto i suoi averi ed è impegnato in un grosso processo contro
l'ospedale di Melegnano, nel quale sono in ballo ottantamila lire ma di cui non
si vede la fine. Anzi, il Chiesa vorrebbe che Demetrio gli versasse settecento
lire promesse tempo prima da Cesarino.
Demetrio, anche su
consiglio del suo capo cavaliere Balzalotti, per un po' non si fa più vedere in
casa della cognata, ridotta quasi alla fame. Una domenica, però, Arabella, che
ha intuito dai discorsi dei vicini che Cesarino è morto suicida, si presenta a
casa dello zio e lo supplica di aiutare lei e la famiglia. Demetrio non sa
resistere e le regala del denaro. Demetrio si impone su Beatrice, e comincia a
vendere mobili e altri oggetti per fronteggiare i debiti. Ottiene anche l'aiuto
di Paolino, un cugino benestante che ha ospitato per alcuni giorni Beatrice
dopo la morte di Cesarino. Paolino presta i soldi per restituire le mille lire
al Martini che, a causa della sua negligenza nella gestione della cassa, ha
dovuto risarcire il danno e verrà trasferito in Sardegna. Demetrio va a
consegnare il denaro con Arabella, che è ormai al corrente di tutta la vicenda
Paolino è un ricco
agricoltore che abita fuori Milano, in una località detta Le Cascine. Rimasto
colpito da Beatrice, pensa di sposarla: chiede a Demetrio di preparargli il
terreno e continua a dargli sostegno economico.
Dopo Pasqua,
Arabella fa la prima comunione. Demetrio trascorre una domenica serena con lei,
Beatrice e i due maschietti, e per la prima volta riesce a pensare a Beatrice come
ad una donna desiderabile.
Beatrice,
nascondendolo a Demetrio e con l'aiuto della moglie del Pardi, Palmira, che si
sente un po' colpevole per avere impedito al marito di aiutare Cesarino, e del
Balzalotti, cerca di mandare avanti il processo del padre. Quando si reca dal
Balzalotti per chiedergli consigli, questi sostiene che per lui la causa è
persa, poi cerca di corteggiare Beatrice e prima che lei se ne vada la obbliga
ad accettare un braccialetto.
Demetrio comincia
ad affezionarsi a Beatrice: gli costa molta fatica portarle una lettera di
Paolino con la proposta di matrimonio. Durante l'incontro, Beatrice gli confessa
la storia col Balzalotti, a cui chiede a Demetrio di restituire il
braccialetto. Demetrio se ne va furioso col Balzalotti, da cui si sente
ingannato, poi si accorge di avere perso la lettera di Paolino, che la rabbia
gli aveva fatto dimenticare.
Paolino,
spazientito per la mancanza di notizie da Demetrio, si reca a Milano da una
veggente, una sonnambula che predice il futuro, portandole una ciocca di
capelli di Beatrice, rinvenuta alle Cascine. La maga gli assicura che entro
agosto sarà felice.
Demetrio ha perso
la lettera in casa di Beatrice, che l'ha trovata e letta. Dice a Demetrio che
ci penserà, ma le pare una buona proposta. Demetrio è triste, vede svanire le
illusioni che si stava facendo nei confronti della cognata. Restituisce il
braccialetto al Balzalotti, ma finiscono per litigare: viene sospeso dal lavoro
per due mesi, poi sarà trasferito a Grosseto. Nel frattempo, per sopravvivere,
è costretto a vendere un vecchio orologio, ricordo del padre.
Qualche giorno
dopo, quando è ormai fine maggio, Demetrio va a trovare Beatrice, trova da lei
anche Paolino e così scopre che tutto è combinato per il matrimonio, che si
celebrerà il ventiquattro di agosto, e che la famiglia, col denaro di Paolino,
è tornata a vivere nel lusso.
Un giovane vicino
di casa dei Pianelli, Ferruccio, parte per studiare in seminario: Arabella, che
ne era segretamente innamorata, scoppia in lacrime tra le braccia di Demetrio,
l'unico nel quale ha sentito di poter cercare consolazione.
Demetrio, che non
ha detto nulla del futuro trasferimento, resta solo a Milano in compagnia di
Giovedì, il cane dei Pianelli che all'inizio detestava, mentre alle Cascine si prepara
il matrimonio. Paolino, insospettito dal suo strano comportamento, lo va a
cercare in ufficio, e qui un collega gli racconta la storia del litigio col
Balzalotti, a cui molti hanno assistito. Paolino rimane sorpreso e pensa di
avere un rivale in Demetrio
Beatrice, temendo
che Paolino voglia annullare il matrimonio, va a trovare Demetrio: lo trova
pronto a partire e gli chiede di scrivere a Paolino per chiarire la situazione,
ma si rende conto che anche Demetrio è innamorato di lei e rimane vivamente
colpita.
Il matrimonio viene
rinviato a causa di un articolo di legge. Palmira Pardi, ignara del rinvio,
finge di essere stata invitata per trascorrere una notte fuori casa con
l'amante, un cantante su cui il marito nutre sospetti. Ma Melchisedecco, gelosissimo,
scopre l'inganno e uccide la moglie quando questa rientra a casa.
Demetrio parte,
portando con sé Giovedì. Arabella ha saputo del trasferimento e si fa
accompagnare alla stazione da un vicino di Demetrio per salutarlo, portandogli
una lettera con un ritratto di Beatrice. Demetrio, nonostante la partenza, non
è triste, perché gli pare che qualcosa di dolce sia entrato nella sua vita.
A Milano si parla
molto dell'omicidio Pardi. Beatrice, sentendosi un po' in colpa, passa alcuni
giorni debilitata. Arriva l'inverno. Paolino è rassicurato dalle lettere di
Demetrio, che racconta di trovarsi bene a Grosseto.
Poi giunge
finalmente il giorno delle nozze. Nella festa generale solo Arabella, che pensa
a chi è morto e a chi è lontano, e riempie l'avvenire con le ombre del passato,
è un po' malinconica.
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Piccole donne, di Louisa May Alcott
Il romanzo narra le vicende della famiglia March, che vive vicino a Gettysburg. Il signor March è partito per la Guerra Civile, lasciando la moglie e le loro quattro figlie: Margaret (detta Meg), Josephine (detta Jo); Elizabeth (detta Beth); Amanda (detta Amy). Le ragazze cresceranno combattendo contro le difficoltà economiche, dovute alla recente perdita della loro fortuna, i loro problemi quotidiani e loro difetti, accompagnate dalla benevola figura della signora March e dal fidato amico e vicino di casa Laurie Lawrence
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lunedì 25 novembre 2013
Il vagabondo delle stelle, di Jack Conrad
Il romanzo narra in prima persona le vicende di un professore universitario, Darrell Standing, detenuto nel carcere di San Quentin per l'omicidio del professor Haskel. Darrell Standing, più tardi condannato a morte per aggressione e non per l'omicidio del professore, scrive negli ultimi tre giorni della sua vita le sue memorie. Più che memorie sono racconti di "viaggi" che fa durante il periodo di permanenza in carcere, soprattutto quando rinchiuso in cella di isolamento.
Standing è sempre stato un detenuto ritenuto "incorreggibile", ossia "un essere temuto da tutti", e fortemente odiato da Atherton, direttore del carcere. Dopo alcune vicende, che coinvolgono un altro detenuto, Cecil Winwood, e una presunta dinamite nascosta all'interno del carcere, Standing viene rinchiuso in cella di isolamento. Qui subisce anni di torture e di camicia di forza, come punizione da parte del direttore, per non voler rivelare dove si trova la dinamite, della cui esistenza egli non è a conoscenza e che in realtà non è mai entrata all'interno del carcere.
In cella di isolamento fa amicizia con altri due detenuti, Ed Morrell e Jake Openheimer, con i quali comunica attraverso un codice segreto, battendo le nocche delle dita sui muri. Da qui, si alternano capitoli di vicende accadute in carcere, ossia vicende di tortura, e capitoli di storie di reincarnazioni, dove Standing, attraverso la piccola morte, esce dal carcere e si ritrova in epoche "sconosciute". Attraverso la piccola morte, tecnica insegnatagli da Ed Morrell, riesce a far morire il corpo e uscire da esso, e quindi sopportare giorni e giorni di camicia di forza. Uscendo dal corpo, Standing riesce ad uscire dalla cella e quindi dalle mura del carcere, per ritrovarsi in epoche e luoghi a lui sconosciuti, ma che fanno parte di una lunga catena di reincarnazioni che hanno poi portato a lui. Inizia così un viaggio che secondo lui dovrebbe "chiarire il mistero della vita". Passa attraverso la vita del conte Guillaume De Sainte-Maure, gentiluomo francese, poi attraverso quella di Jesse Fancher, bambino di 8 o 9 anni il cui padre era a capo di una carovana di pionieri attaccata da un gruppo di milizie formate da mormoni e indiani, attraverso quella di un sacerdote del Nilo, attraverso quella di Adam Strang, un inglese vissuto tra il 1550 e il 1650, di Ragnar Lodbrog, schiavo che in seguito diventa soldato e amico di Pilato, e per finire quella di Daniel Foss, naufrago su un'isola deserta.
Alla fine del romanzo Darrell Standing, prima di venire impiccato per l'aggressione del secondino Thurston, descrive l'assurdità della pena di morte, il disagio sperimentato dai suoi esecutori e la sua assoluta serenità, alimentata dalla curiosità di vivere la sua prossima vita.
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L'argine, di Grazia Deledda
Romanzo del 1933, il penultimo pubblicato dall’autrice.
Dall’incipit del libro:
Stare in casa, lavorare, riposarsi, riprendere il ricamo cominciato, leggere giornali e qualche libro, fare intorno a sé il poco bene che poteva, questa era la linea quotidiana dell’esistenza e della pallida felicità della signora Noemi Davila.
Anche quella mattina, anzi più che mai quella mattina, ella si svegliò con la visione di tale strada diritta e chiara davanti a sé. Aveva dormito bene tutta la notte, e al suo primo svegliarsi ringraziò Dio anche di questo.
Era presto ancora per alzarsi: fuori faceva freddo, sebbene dalla chiarità sonora dei rumori anche i più lontani, e dalla luce azzurrina che rischiarava i vetri appannati, si sentisse la bellezza della giornata invernale: forse, dunque, era bene riaddormentarsi per un’altra mezz’ora, nel letto piccolo e tiepido di piume come un nido: ma la trasparenza stessa della fresca luce che penetrava di fuori infondeva nella signora Noemi un senso di vita, un bisogno di moto.
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venerdì 22 novembre 2013
Gli americani di Rabbato, di Luigi Capuana
Uscito nel 1912, è forse il più “verista” fra i
racconti del Capuana. Attraverso le vicende, peraltro a lieto fine, del piccolo
protagonista Menu l’Autore affronta il tema dell’emigrazione dei contadini
poveri del meridione verso le Americhe, e in particolare verso gli Stati Uniti,
divenuta nell'ultimo Ottocento e nei primi anni del ’900 un fenomeno sociale di
gigantesche proporzioni. L’emigrazione, agli occhi del disincantato scrittore –
ben documentato sul fenomeno per averlo osservato con attenzione nella natia
Mineo, la Ràbbato del romanzo – è prospettiva dura e magari dolorosa ma, in
certe circostanze, ineluttabile, e va possibilmente trasformata in una
occasione di promozione sociale e culturale. È questo l'insegnamento che i
lettori possono trarre dalla storia di Menu, emigrante volontario e persino
entusiasta a New York, per un misto di infantile curiosità e desiderio di
emulazione dei fratelli e dei compaesani; la "Merica" non è
però per lui una meta definitiva: egli ritorna infatti al paese natio, dopo
aver visto e imparato tante novità e aver avuto a che fare, fra l'altro, con la
malavita organizzata (la temibile "Mano nera"). Reduce dall'avventura
americana durata un anno e mezzo, Menu si ritrova cresciuto umanamente e
culturalmente; il suo tesoro di esperienza, cercherà di farlo fruttare a
beneficio dei suoi compaesani, diventando maestro per insegnar loro un po' di
"americanismo", cioè di libertà e abilità imprenditoriale,
apprese di persona.
Un americano alla corte di Re Artu', di Mark Twain
Nato in Florida nel novembre del 1835, Samuel
Langhorne Clemens scelse lo pseudonimo con cui è noto al grande pubblico
basandosi sull'esperienza quotidiana della propria vita lavorativa. "Mark
twain", letteralmente "segna doppio", era l'espressione utilizzata
sui battelli fluviali che discendevano il Mississippi, per indicare la
profondità delle acque. Samuel, prima che uno scrittore, fu un pilota di
battelli a vapore. Proprio quei battelli che, in un modo o nell'altro, hanno
popolato i suoi capolavori più famosi (Le Avventure di Tom Sawyer, Le
Avventure di Huckleberry Finn...).
Ed è stata proprio questa sua capacità di riversare
direttamente nelle pagine del libro la vita provata sulla pelle che ha fatto di
Twain il talento forse più autentico nel panorama letterario americano della
seconda metà dell'Ottocento.
Così come la conoscenza puntuale degli ambienti rende
le sue descrizioni asciutte e precise, in maniera analoga l'esperienza tecnica,
che costituiva un bagaglio importante della sua formazione professionale,
permea tutta la sua produzione, spiccando in modo particolare nel testo di Un
Americano alla Corte di Re Artù (A Connecticut Yankee in King Arthur's
Court) edito nel 1889.
In quest'opera, la scarsa conoscenza geografica dei
luoghi narrati (soprattutto se paragonati alle sponde del Mississippi) lascia
spazio a un'ampia serie di digressioni tecniche su telefono, elettricità,
cannone, macchina a vapore, carta stampata e altri anacronismi che colorano
l'immaginaria campagna inglese della Camelot medioevale.
Il romanzo racconta di un viaggio nel tempo.
Utilizzando uno stratagemma simile a quello adottato da Manzoni ne I
Promessi Sposi, Twain presenta al lettore ciò che definisce come
l'adattamento di un diario donatogli da un certo signor Morgan, eccentrico
vecchietto fantasticamente incontrato nei pressi del castello di Warwick
(Inghilterra). La storia altro non sarebbe che la trascrizione della
straordinaria esperienza accaduta "realmente" a costui
A causa di una botta in testa rimediata durante una
rissa, il protagonista Hank, ordinario cittadino del Connecticut, viene
catapultato indietro nel tempo (nel 528 d.C.) presso la corte di Re Artù.
Catturato da un cavaliere e reso schiavo, riesce a
riscattarsi grazie alle proprie cognizioni tecnico-scientifiche: in breve tempo
spodesta il celeberrimo Merlino diventando il primo ministro del regno di
Camelot e il "mago" più potente di tutta l'Inghilterra.
Facendo leva sulla posizione di potere e attraverso le
conoscenze di metà Ottocento, Hank intende anticipare la storia e trasformare
profondamente la vita sociale e politica dell'Inghilterra del VI secolo. I suoi
ambiziosi obiettivi sono l'abolizione degli ordini cavallereschi e
l'istituzione della repubblica
Finirà male.
La storia non può essere riscritta, soprattutto da chi
la conosce soltanto superficialmente. Questo almeno è quanto sembra volerci
insegnare l'autore.
A dispetto dell'idea diffusa secondo la quale si
tratterebbe di una lettura per ragazzi, Un Americano alla Corte di Re Artù
costituisce uno degli esempi di miglior satira sociale della letteratura
americana
Collocando la vicenda in un luogo e in un tempo
alternativi, Twain riesce a far risaltare, in contrasto stridente con questo
improbabile sfondo, il vero protagonista del suo romanzo: l'"homo
americanus". L'ambientazione stessa, quell'Inghilterra medioevale, origine
ancestrale della storia americana ma in aperto contrasto con l'idea che
l'America del XIX secolo ha e dà di sé, è tutt'altro che una scelta casuale. Se
il Medioevo è infatti generalmente considerato l'epoca in cui dominano
disuguaglianza sociale, ignoranza e superstizione, il contesto americano da cui
proviene il protagonista sembra incarnare (ma solo formalmente) tutti i
benefici derivati dalle conquiste politiche e tecnologiche dei secoli
successivi.
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I racconti, di Franz Kafka
I
racconti di Kafka sono generalmente brevi scritti, caratterizzati da una trama
paradossale, da contenuti criptici e difficilmente comprensibili. Il racconto,
senza dubbio, più importante è la Metamorfosi, che si può considerare un
capolavoro sia sotto il profilo strettamente letterario che per quanto riguarda
i contenuti. Gregor, un impiegato modello, si sveglia trasformato in un grande
insetto, probabilmente in uno scarafaggio. Dapprima la famiglia è sbalordita,
poi ha nei suoi confronti un moto di pietà e di compassione (in particolare la
sorella) e infine subentra l’indifferenza e il disprezzo. Alla fine Gregor si
lascia morire e i genitori e la sorella non si interessano neanche di dove è
stato gettato il corpo. Il racconto può avere diversi significati.
Innanzitutto, qual è la causa di questa trasformazione? E', forse, la rivolta
di un ragazzo costretto, ancora giovane, a mantenere la famiglia (il padre,
pieno di debiti, che non fa nulla, la sorella che vorrebbe fare la violinista)
sotto il rigido e vessatorio controllo di un capo ufficio. Dopo la notte in cui
avviene la trasformazione, alla mattina Gregor dovrebbe, come al solito,
partire presto e il fatto che continui a restare in camera è considerato da
tutti una dimostrazione di pigrizia, già essa una sfida alle regole della
società. "Ma signor procuratore, gridò Gregor, abbia pazienza ancora un
attimo. Però sto già molto meglio. Come può accadere una cosa simile!". È
il tema di una società burocratica e vessatoria, che non accetta in alcun modo
la rottura delle regole. Ma c’è, per me, un altro tema ancora più universale.
Cosa succede quando una persona si ammala di una grave malattia? All’inizio
tutti gli sono vicini, pieni di compassione e di bontà, poi pian piano le
persone cominciano a estraniare il malato, a cambiargli le abitudini e
l’arredamento, perché non è più necessario, sino a lasciarlo nell’indifferenza.
Così succede a Gregor. All’inizio la sorella lo accudisce a differenza del
padre, che sin dall’inizio lo respinge sino al punto di ferirlo gravemente. Poi
la madre e la sorella decidono di liberare la stanza dai mobili così da rendere
più facile per Gregor muoversi lungo le pareti (chiara dimostrazione di una
bontà che non tiene conto della volontà del malato). Gregor non vuole, perché significa
abbandonare la sua natura di uomo, di persona sana, e reagisce sino al punto di
attaccarsi a un quadro per evitare che glielo portino via. Poi un giorno che la
sorella suona il violino, Gregor, il grande insetto, è affascinato dal suono e
vorrebbe avvicinarsi alla sorella per abbracciarla e farla suonare solo per
lui. Viene invece respinto con crudeltà perché è un mostro. Non restano che la
solitudine e la morte. Insieme con la trasformazione di Gregor, si attua un
cambiamento nei parenti. Il padre riprende a lavorare e gira impettito nella
sua divisa, la sorella fa la commessa e si veste con il colletto aperto, anche
la madre lavora. Quando Gregor scompare si apre una nuova vita, dimentichi
totalmente del congiunto che eppure li aveva così aiutati.
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lunedì 18 novembre 2013
Scarpiddu, di Luigi Capuana
Questo libro
narra la vita di campagna di Mommo, un ragazzino di nove anni, orfano di padre,
abbandonato dalla madre e maltrattato dal datore di lavoro che l’ha licenziato
lasciandolo per strada. Per fortuna, incontra Massaio Turi, un contadino
generoso che se lo prende nella masseria di Mineo insieme alla moglie.
Essi lo trattano come un figlio e lo mettono a fare il nuzzaru per portare al pascolo i tacchini. Lì, Mommo conosce molte persone: un ex soldato (per lui una figura di riferimento), che gli insegnerà leggere e a scrivere; incontra anche Zì Girolamo, un amico di famiglia che dicono amico delle streghe e che incute timore al giovane ragazzo.
Lì a Mineo, Mommo prende il soprannome di Scurpiddu per la sua bassa statura e la sua magrezza.
Anche il lieto ritorno e successivamente la triste morte della mamma non scoraggiano Scurpiddu, che continua a andare felice in giro per le campagne di Mineo insieme alla sua taccola Paola, che, durante la storia, lo abbandonerà per vivere una vita libera.
Scurpiddu all’età di sedici anni parte volontario come soldato per realizzare il suo sogno di vedere il mondo, anche se gli è difficile il distacco dalla masseria a cui si è tanto affezionato.
Questo libro di Luigi Capuana è un classico di letteratura verista della vita di quei tempi che riesce a far essere partecipi alla vita del ragazzo.
Essi lo trattano come un figlio e lo mettono a fare il nuzzaru per portare al pascolo i tacchini. Lì, Mommo conosce molte persone: un ex soldato (per lui una figura di riferimento), che gli insegnerà leggere e a scrivere; incontra anche Zì Girolamo, un amico di famiglia che dicono amico delle streghe e che incute timore al giovane ragazzo.
Lì a Mineo, Mommo prende il soprannome di Scurpiddu per la sua bassa statura e la sua magrezza.
Anche il lieto ritorno e successivamente la triste morte della mamma non scoraggiano Scurpiddu, che continua a andare felice in giro per le campagne di Mineo insieme alla sua taccola Paola, che, durante la storia, lo abbandonerà per vivere una vita libera.
Scurpiddu all’età di sedici anni parte volontario come soldato per realizzare il suo sogno di vedere il mondo, anche se gli è difficile il distacco dalla masseria a cui si è tanto affezionato.
Questo libro di Luigi Capuana è un classico di letteratura verista della vita di quei tempi che riesce a far essere partecipi alla vita del ragazzo.
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Vampiro, di Luigi Capuana
Classico autore del Verismo italiano di fine
Ottocento, Luigi Capuana pure coltivò profondi interessi verso
la metapsichica, con la curiosità tipica del suo periodo verso i fenomeni dello
spiritualismo e le ipotesi allora in voga circa il soprannaturale, argomenti
sui quali molto scrisse fra osservazioni dirette, meditazioni personali e brevi
opere di fiammante inventiva nel trasporre le proprie ipotesi ed esperienze in
forma narrativa portando nel quotidiano l’irreale, l’aldilà, il riflesso
distorto e perturbante delle cose.
Una raccolta degli scritti fantastici di Capuana viene oggi riproposta attraverso Un vampiro e altri racconti dell’occulto, un tascabile con tredici storie a tema dello scrittore siciliano curate e introdotte da Guido Davico Boninoper la BUR.
“La fascinazione dell’assurdo, dell’angoscioso e del terrificante ha conquistato scrittori di ogni tempo. Così anche il siciliano Capuana, uno dei più ferventi adepti del credo positivista, non ha resistito a raccontare quanto la scienza bandisce, giudica impossibile e orrendo: vampiri, strani casi di sonnambulismo, influenze malefiche, sogni premonitori, forze occulte. Nel secolo di Frankenstein, Dracula, Jekyll e Hyde, Capuana riesce a innovare i canoni della narrazione fantastica, snebbiandola dai vapori della fiaba e collocandola nelle atmosfere domestiche di un’agghiacciante vita quotidiana”.
Un esempio non poi così raro di racconto fantastico italiano, di elemento gotico forse piuttosto tardo e a volte rarefatto, ma non assente dalle moderne origini della nostra letteratura “alta” o popolare. Probabilmente persino una sorpresa per alcuni, abituati a lungo a non trovare nulla oltre il Realismo in alcun testo canonico di lettere. Per dirla con Leopardi: “[…] nessuna delle tre grandi nazioni che, come dicono i giornali, «marchent à la tete de la civilisation», crede agli spiriti meno dell’italiana”. Niente spiriti, dunque, né storicamente credito da queste parti per uno scrivere “al di fuori del concreto”
Una raccolta degli scritti fantastici di Capuana viene oggi riproposta attraverso Un vampiro e altri racconti dell’occulto, un tascabile con tredici storie a tema dello scrittore siciliano curate e introdotte da Guido Davico Boninoper la BUR.
“La fascinazione dell’assurdo, dell’angoscioso e del terrificante ha conquistato scrittori di ogni tempo. Così anche il siciliano Capuana, uno dei più ferventi adepti del credo positivista, non ha resistito a raccontare quanto la scienza bandisce, giudica impossibile e orrendo: vampiri, strani casi di sonnambulismo, influenze malefiche, sogni premonitori, forze occulte. Nel secolo di Frankenstein, Dracula, Jekyll e Hyde, Capuana riesce a innovare i canoni della narrazione fantastica, snebbiandola dai vapori della fiaba e collocandola nelle atmosfere domestiche di un’agghiacciante vita quotidiana”.
Un esempio non poi così raro di racconto fantastico italiano, di elemento gotico forse piuttosto tardo e a volte rarefatto, ma non assente dalle moderne origini della nostra letteratura “alta” o popolare. Probabilmente persino una sorpresa per alcuni, abituati a lungo a non trovare nulla oltre il Realismo in alcun testo canonico di lettere. Per dirla con Leopardi: “[…] nessuna delle tre grandi nazioni che, come dicono i giornali, «marchent à la tete de la civilisation», crede agli spiriti meno dell’italiana”. Niente spiriti, dunque, né storicamente credito da queste parti per uno scrivere “al di fuori del concreto”
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Diari intimi, di Charles Baudelaire
"È impossibile scorrere una
qualsiasi gazzetta, di non importa che giorno, mese o anno, senza scoprirvi ad
ogni riga i segni della più spaventosa perversione umana e, al contempo, le più
stupefacenti vanterie di probità, di bontà, di carità con le affermazioni più
sfrontate circa il progresso e la civiltà. Ogni giornale, dalla prima
all'ultima riga, non è che un contesto d'orrori. Guerre, delitti, furti,
impudicizie, torture, crimini nazionali, delitti privati, un'ubriacatura
d'atrocità universale. Ed è con un simile disgustoso aperitivo che l'uomo
civile accompagna la sua colazione d'ogni mattina. In questo mondo tutto
trasuda il delitto: il giornale, i muri e il volto umano. Non capisco come una
mano pura possa toccare un giornale senza provare un brivido di disgusto".
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giovedì 14 novembre 2013
mercoledì 13 novembre 2013
Primo maggio, di Edmondo De Amicis
Alle sette in punto il signor cavaliere Bianchini saltò giù dal letto e, affacciandosi alla finestra, ebbe due dispiaceri: vide che il cielo era tutto azzurro e che il muratore Peroni non era andato al lavoro. Questi se ne stava seduto, con la giacchetta sulle spalle, sullo scalino del suo uscio a vetri, in fondo al lungo terrazzino della casa bassa che formava un cortile triangolare con le due grandi ali dell'isolato. Diamine! Se festeggiava il 1° Maggio il Peroni, un operaio vecchio e tranquillo, c'era da credere che lo festeggiassero tutti gli operai di Torino.
Questo pensiero spiacevole fece dimenticare al signor Bianchini di esaminarsi il viso e la lingua allo specchietto per la barba, come faceva ogni mattina, compiacendosi della floridezza ammirabile, benché un po' pingue, dei suoi sessant'anni.
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Il richiamo della foresta, di Jack London
Il cane Buck, un incrocio tra un sanbernardo e un pastore scozzese, vive insieme al suo padrone, il giudice Miller nella Santa Clara Valley (California). Un giorno Manuel, il giardiniere, rapisce Buck e lo vende per pagare dei debiti di gioco. Buck viene spedito in Alaska e venduto ad una coppia di canadesi, François e Perrault, i quali rimangono impressionati dal fisico del cane. I due addestrano Buck come cane da slitta: questi, osservando i propri compagni, apprende velocemente le regole della muta e come sopravvivere alle fredde notti invernali. Nasce presto una rivalità con il capo-muta Spitz. In uno scontro, Buck batte Spitz, che dopo la sconfitta è ucciso dagli altri cani. Buck diventa quindi il leader della muta. Viene successivamente venduto ad altri esperti fattorini che sono poi costretti a venderlo dopo pochi mesi perché lo avevano fatto lavorare troppo, facendogli rischiare la morte.
Buck viene quindi venduto ad un uomo di nome Charles, che assieme a sua moglie Mercedes e al fratello Hal, tenta di viaggiare sino a Dawson City. Essi non conoscono assolutamente nulla né di trasporti su slitta né di come sopravvivere nella landa selvaggia dell'Alaska. Lottano per controllare la slitta e ignorano gli avvertimenti di non viaggiare durante il disgelo nella stagione primaverile. Inizialmente danno troppo da mangiare ai cani poi, quando i viveri cominciano a scarseggiare, non gli danno da mangiare per niente. Nel proseguimento del viaggio si imbattono in John Thornton, un esperto della vita nella natura, che nota il terribile stato in cui sono i cani della muta, a causa del maltrattamento dei padroni. Thornton avverte i tre di non attraversare il fiume ghiacciato, ma essi non intendono ascoltare i suoi avvertimenti; anzi, ordinano a Buck di proseguire. Questi, esausto, affamato e percependo il pericolo, si rifiuta di obbedire e continua a giacere sulla neve immobile, ansimando e ammiccando. Thornton, riconosciuto il cane come una bestia di grande valore e disgustato dall'atteggiamento violento dei suoi padroni nei suoi confronti, libera Buck dalle sue corde dopo aver lottato Hal e comunica al trio che non ha alcuna intenzione di lasciargli il cane. Dopo alcune discussioni, il trio parte e tenta di attraversare il fiume ma, come Thornton aveva avvertito, il ghiaccio si rompe e i tre cadono nel fiume insieme alla muta di cani e alla slitta.
Mentre Thornton accudisce Buck e lo riporta in piena salute, tra i due si instaura un rapporto di fedele amicizia, amore e devozione. Un giorno Buck salva la vita a Thornton quando questi cadde nel fiume, quindi Thornton porta Buck con sé in viaggio alla ricerca dell'oro. Durante il viaggio un uomo fa una scommessa con Thornton sulla forza e sulla devozione del cane. Buck vince la scommessa tirando fuori una slitta di mezza tonnellata da un terreno ghiacciato e tirandola avanti da solo per 100 metri. Mentre Thornton e i suoi compagni ritornano al campo per continuare la ricerca dell'oro, Buck inizia ad esplorare l'ambiente circostante venendo in contatto e socializzando con un lupo della landa locale. Una notte però, ritornato da una breve caccia, trova il suo amato padrone e gli altri nel campo uccisi da un gruppo di indiani Yeehat. Nello scontro finale Buck uccide gli indiani per vendicare Thornton e, dopo aver capito che la sua vecchia vita è solo un ricordo del passato, segue il lupo nella foresta rispondendo al richiamo della vita selvaggia.
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La crociera dello Snark, di Jack London
Un romanzo di avventura per mare, vissuto direttamente dall'autore, salpato nel 1907 dalla baia di San Francisco a bordo di imbarcazione di 45 piedi, lo Snark. Viene narrata l'avventuroso viaggio attraverso il Pacifico durato un anno e mezzo tra gioie e paure di un equipaggio inesperto. Libro in lingua originale inglese con traduzione in italiano.
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venerdì 8 novembre 2013
Il castello, di Franz Kafka
Durante una gelida notte d'inverno,
l'agrimensore K. (il narratore in prima persona dell'intera vicenda) giunge in
un villaggio sovrastato dalla figura minacciosa di un Castello; al suo interno
governa una misteriosa burocrazia. Quando cerca rifugio nella locanda sostiene d'esser stato convocato dal
conte, il padrone del Castello. Il protagonista, che è, cerca in tutti i modi
di adempiere al proprio dovere, ma uno stuolo di burocrati e funzionari gli
impedisce ogni volta di essere ricevuto.
Il suo contatto col castello sarà un
funzionario di nome Klamm, tramite il suo segretario Erlanger; presto K viene
informato che, purtroppo, la sua chiamata è stata solamente uno spiacevolissimo
errore. Gli viene offerto comunque un lavoro provvisorio in qualità di custode
della scuola, a servizio del maestro. Nel frattempo, K. cerca di entrare in
confidenza con gli abitanti del villaggio i quali però non fanno altro che
trattarlo sempre in maniera ostile e alquanto sospettosa. C'è solo una persona
che si offre di aiutarlo, ma egli cade addormentato e non la sente.
Tutti gli abitanti del villaggio tengono
in altissima considerazione i funzionari provenienti dal Castello, anche se non
sembrano sapere cosa questi effettivamente facciano, quali compiti abbiano da
portar a termine al villaggio: lungo tutto il corso della storia non vengono
mai spiegatele azioni dei funzionari. Le spiegazioni che a tal proposto gli
abitanti danno spesso si contraddicono tra loro, si capisce però ch'essi hanno
uno o più segretari che svolgono tutto il lavoro per loro; anche se a volte
giungono fino a mostrarsi al villaggio non interagiscono mai con gli abitanti,
a meno che non abbiano bisogno di compagnia femminile di natura sessuale.
Gli occupanti del Castello sembrano esser
poi tutti uomini adulti esclusivamente impegnati in funzioni burocratiche; le
due uniche eccezioni sono costituite dai vigili
del fuoco e dalla moglie di Otto
A questo punto si interrompe il racconto
che, secondo i progetti originari dell'autore, si sarebbe dovuto concludere con
il protagonista K., prossimo alla morte, che viene finalmente accolto dai
diffidenti contadini del villaggio.
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Previsioni del etempo. di Wu Ming
Previsioni del tempo è un
racconto lungo, scritto da Wu
Ming 3 e Wu
Ming 5, con la
supervisione dell’intero collettivo Wu Ming, tra l’ottobre 2007
e il gennaio 2008, a cavallo di due continenti (la stesura è iniziata in Canada
durante il viaggio narrato nel libro Grand
River). Il tema trattato in questa storia è quello
del traffico illecito di rifiuti tra Nord e Sud. La particolarità di questo
romanzo è che il problema dei rifiuti è affrontato principalmente raccontando
la vita quotidiana di «proletari» del business criminale. È una storia on the
road, di culi che schiacciano sedili, sull'Autostrada del Sole in un giorno di
pioggia, nel fango di vie secondarie, tra i boschi dell'Appennino.
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Il padrone e il lavorante, di Leone Tolstoj
Vasilij Andreič Brechunòv, un ricco
proprietario terriero, è molto abile negli affari, egoista e senza scrupoli. Di
recente Vasilij Andreič ha avviato le trattative per l'acquisto di un bosco da
uno sprovveduto proprietario che vive a Gorjàčkino, una località non lontana.
All'indomani della festa di San
Nicola (6 dicembre) Vasilij
Andreič decide di partire in fretta con una slitta a cavallo alla volta di Gorjàčkino,
per concludere l'acquisto, in quanto teme che qualche altro mercante possa
soffiargli quell'affare assai vantaggioso. Vasilij Andreič porta con sé «Nikita,
un suo lavorante cinquantenne ovunque stimato per la sua gran voglia di
lavorare, per l'abilità e la forza che metteva in tutto quello che faceva e
soprattutto per il suo carattere buono e gentile. [...] Vasilij Andreič pagava
a Nikita non gli ottanta rubli che gli sarebbero toccati per il suo lavoro, ma
quaranta rubli, e glieli dava per di più non tutti insieme a scadenza fissa, ma
un poco per volta, di quando in quando, e nemmeno in contanti, ma sotto forma
perlopiù di merci della sua bottega — alzandone inoltre i prezzi».Il viaggio si
svolge in condizioni sfavorevoli: nevica, fa molto freddo e si prevede un
peggioramento delle condizioni meteorologiche. Per fare in fretta, Vasilij
Andreič decide di percorrere una scorciatoia poco frequentata. Dopo qualche
tempo inizia tuttavia una tormenta; il cavallo è stremato e si ferma. Nikita
ritiene che occorra passare la notte all'aperto, in una fossa scavata nella
neve. Nikita stacca pertanto il cavallo dalle stanghe, lo ricopre con un
lenzuolo di iuta, per proteggerlo dal freddo, e pone la slitta in alto («Così
se la neve ci coprirà, qualche brava persona lo vedrà e verranno a scavare qui»).
Il padrone ritiene però che la sosta possa fargli perdere l'affare: slega
nuovamente il cavallo, lo monta e si allontana dalla posizione precedente
abbandonando Nikita. Quest'ultimo, vestito in modo inadeguato, si rende conto
di essere stato abbandonato dal padrone e aspetta con rassegnazione la morte.Viaggiando
però nel buio, Vasilij Andreič perde l'orientamento. Dopo un lungo peregrinare
il cavallo cade stremato in un avvallamento e Vasilij si rende conto di essere
ritornato al punto di partenza. Nikita dice a Vasilij di avere un inizio di
congelamento e di essere ormai rassegnato a morire. Vassilij allora toglie la
neve che ricopre Nikita e «si distende su di lui coprendolo non soltanto con la
sua pelliccia, ma con tutto il suo corpo caldo». Più tardi anche Vasilij si
accorge che gli si stanno congelando le estremità degli arti; ma ormai «lui non
pensava né alle sue gambe, né alle sue mani, ma pensava soltanto a scaldare il
meglio possibile il suo mužik che gli giaceva sotto». Finalmente Vasilij Andreič si rende
conto che la sua morte è vicina, ma non se ne dispiace perché sta ancora
riscaldando col suo corpo Nikita: Vasilij Andreič comprende ora il significato
dell'esistenza, sente di essere ormai libero dagli interessi terreni.
L'indomani a mezzogiorno alcuni contadini contadini troveranno Nikita ancora
vivo, sia pure con alcune dita dei piedi congelate, sopravvissuto grazie alla
protezione che gli aveva fornito Vasilij Andreič.
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mercoledì 6 novembre 2013
Cambiamenti, di Mo Yan
Credo sia doveroso un omaggio a Mo Yan, premio nobel per la letteratura del 2012, e questo libro edito dalla casa editrice Nottetempo è l’occasione migliore, in attesa che finisca di rileggere il suo capolavoro, Sorgo rosso.
Ricordo, quando acquistai quest’ultimo volume per regalarlo a mia moglie. Ricordo che la sua lettura fu una scoperta entusiasmante e mi indusse a scoprire altri scrittori cinesi, primo fra tutti Acheng. Ma leggendo “Cambiamenti”, mi sono accorto di come questo grande scrittore sia riuscito a raccontare la sua storia in un romanzo che contiene le storie di tanti personaggi, dal maestro Liu bocca larga al ribelle He Zhiwu, da Lu Wenli, la sua bella compagna di banco alle elementari, al tecnico Zhang e persino l’epopea del camion Gaz 51.
Non è pudore quello di Mo Yan, è la passione per la narrazione che fa diventare la sua biografia la sommatoria di tante narrazioni.
Altro aspetto fondamentale è l’ironia che è capace di usare nel descrivere luoghi e personaggi, come la presentazione di se stesso nella scuola elementare che frequentava nel suo piccolo paese. Un piccolo ragazzo sfigato che, nonostante il suo amore e il suo impegno nello studio, aveva la capacità di catalizzare su di sé una negatività che lo ha portato persino all’espulsione. Questo provvedimento, però, ha dovuto fare i conti con la determinazione del giovane Mo, la sua tenacia che non consentiva a nessuno di cacciarlo fuori perché ancor prima che rientrassero nella scuola lui era già in fondo alla classe, appoggiato al muro. Che dire poi della partita di ping pong tra il maestro Liu e Lu Wenli che viene interrotta perché un colpo troppo forte della bella ragazza ha come conseguenza di mandare la pallina nella bocca del maestro.
Ma, devo ammetterlo, il protagonista di cui mi sono innamorato è il camion residuato russo della guerra di Corea che il padre di Lu Wenli faceva sfrecciare sulle strade di campagna e in quelle del paese anche a costo di rendere vittime della sua velocità alcune povere galline. Ho sentito in questo racconto la voglia di libertà del giovanissimo Mo Yan che, in fondo, era un ribelle come He Zhiwu, solo che i suoi desideri di evasione coincidevano con il suo bisogno di conoscenza.
E qui ci si scontra con una Cina che non conosciamo a fondo e che, quando ero un giovane comunista del Movimento Studentesco, non potevo conoscere perché troppo accecato dal mio bisogno di certezze sulla possibilità di un mondo migliore, per realizzare il quale era possibile ogni rinuncia.
Lo sforzo di raggiungere un livello di studio universitario si scontra con la realtà di appartenere alla categoria dei contadini medi. Quindi l’unica strada che rimane allo scrittore è quella di entrare nell’esercito. Ma anche qui il suo percorso ha una progressione che non ha linearità e, in qualche caso, neanche una logica. Come quando gli viene offerto un posto per frequentare l’Istituto superiore dell’esercito e diventare ingegnere. Unico ostacolo a questa possibilità è che il soldato Mo Yan ha frequentato solo le elementari e non sa nulla di matematica, fisica e chimica. La solidarietà del radiotecnico Ma lo indurrà a uno studio intenso che in sei mesi gli consente di colmare, almeno in parte, le sue lacune. A quel punto gli comunicano che quel posto non c’è più. Contemporaneamente un gruppo di ispettori rimane impressionato da una bella lezione di trigonometria che egli è in grado di proporgli e grazie alla quale viene trasferito al Corpo di addestramento di Beodiung in qualità di istruttore. Ma, nel frattempo, ha la meglio la sua voglia di scrivere e di studiare letteratura e ancora la strada sarà ancora tortuosa.
Mi piacerebbe andare avanti, ma consiglio a chiunque mi legga, di comprare questo volume. È un modo di scrivere i propri ricordi permettendo al lettore di vedere il protagonista con gli occhi degli altri personaggi che consentono anche di vedere una Cina che vive dei cambiamenti sempre più veloci e radicali.
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Amore mio dolce, di Alda Teodorani
Raramente ho letto un libro come questo. Il parossismo violento della fine del rapporto d’amore, il sangue che imbratta ogni cosa e perfino il congiungimento carnale post mortem, non tolgono nulla alla carica di erotismo che percorre ogni frase della narrazione di Alda Teodorani.
L’onnipresenza del cioccolato, poi, rappresenta, e sottolinea, il desiderio inappagato, il bisogno di dare una continuità al rapporto erotico sostituito da quel frutto che possiede mille sfumature e mille modi di dare un succedaneo di appagamento.
Non può essere un caso se l’ultimo rapporto non ha bisogno della cioccolata perché nel fare l’amore, nel penetrare la donna che si è finalmente trovata, si è arrivati a Dio.
Non sono un amante del noir e tantomeno della violenza comunque raccontatq, non sono nemmeno un ammiratore di CSI. Ma questo racconto ha una tensione e un lirismo erotico eccezionale che non ha niente di volgare, ma ci conduce in una ricerca dell’unione perfetta tra amore ed eros. Un percorso che ha fatto ognuno di noi con alterne fortune. Ogni volta il dolore sofferto per la sconfitta ha ucciso la donna o l’uomo con i quali abbiamo vissuto una tappa del nostro cammino. Talora abbiamo fatto l’amore con quell’essere che, dentro di noi era morto all’amore.
In questa metafora ho smesso di vedere uno di quei racconti trash che abbondano nella letteratura noir o nella narrazione filmica o televisiva, e ho visto il racconto delle nostre vite, scritto con una pulsione di voglia di vivere contagiosa.
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martedì 5 novembre 2013
L’ impietratrice, di Vittorio Imbriani
Verseggiando a meraviglia ed anche poetando stupendamente, si può
spropositare in politica, anzi non capirne un acca. Gli esempli abbondano. Fra
i contemporanei il più splendido ed ovvio è quello del besanzonese Vittor Hugo,
il quale divulgò un volume di giambi archilochei contro la Maestà di Napoleone
III, tanto belli ed ingiusti che, resi inoffensivi dalla esagerazione stessa,
venivan declamati per ischerzo ed isvago ed ispasso ed iscapricciamento dalla
Imperatrice Eugenia e dagl'intimi della corte, durante le prosperità del
magnanimo alleato nostro e benefattore. Jacopo Sannazzaro ci offre un'altra
istanza più remota di valore epigrammatico unito ad insipienza politica.
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Una morte dolcissima di Simone de Beauvoir
La
malattia e la morte della madre. Questo è ciò che registra la scrittrice, in un
diario che copre un mese di realtà ospedaliera. Con l'avanzare del male, il
mondo esterno perde sempre più consistenza, fino a scomparire. Rimane solo la
camera d'ospedale in cui tre donne, la madre e le figlie, continuano a
combattere una guerra che è impossibile vincere. In questo microcosmo che
attende l'imminente catastrofe, Simon de Beauvoir descrive anche altri
personaggi: medici, preoccupati di sperimentare sulla paziente la loro scienza;
infermiere, impassibili nella sicurezza dei loro gesti professionali e le ombre
della vita già trascorsa, delle occasioni perdute, di una borghese vicenda
matrimoniale vissuta dalla madre come una grande avventura.
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Rabbia e camorra, di Antonio Montanaro
Pochi mesi per una vita che sta cambiando. ‘O professore –
il nomignolo gli è stato affibbiato, probabilmente per il suo essere anomalo
rispetto al contesto, al suo arrivo nel quartiere
di periferia dove ha scelto di vivere – è un
trentenne che lavora come grafico. La
sua vita sembrava svolgersi secondo canali quasi obbligati; normali, se
preferite. La sua vita cambia per una scoperta amara: rabbia e violenza si
annidano in ognuno di noi e stanno lì silenti, in agguato. L’occasione e
la difficoltà a controllarsi gettano nel panico e il rimedio consiste nel
confinarsi in una periferia dove la rabbia, la violenza, la marginalità sono
l’essenza stessa della relazione sociale. Senza svelare troppi dettagli, ‘O professore familiarizza sempre più con
le regole non scritte di una periferia napoletana stretta tra emarginazione e
camorra; l’amore o l’odio, i sentimenti in genere, s’incanalano in meccanismi
ai quali non è dato sottrarsi. Non c’è più via di scampo e bisognerà vivere le
emozioni fino in fondo. Quando la
sua vita era “regolare” e incanalata, la periferia sembrava un mondo lontano,
sociologicamente spiegato con luoghi comuni e immagini di comodo.
‘O professore – che non a caso ha appeso nel
cesso la sua laurea in sociologia – comprenderà sempre più a fondo i sogni, le
sconfitte, le paure e le speranze di una carrellata di personaggi che gli si
offrono senza troppo pudore. Le
sue scoperte più dure sono, probabilmente, l’impossibilità a prendere le
distanze da quel mondo che sembrava lontano e l’impossibilità a pensarsi
diverso da quelli che, visti da lontano, sembravano strani “mostri” e, visti da
vicino, si sono lasciati scoprire come persone in cerca di un destino.
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