martedì 11 giugno 2013

La leggenda del santo bevitore, di Joseph Roth


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Nella quarta di copertina si avverte che questo romanzo fu pubblicato per la prima volta nel 1939, pochi mesi dopo la sua morte da esule a Parigi, e che è una sorta di testamento, una sorta di parabola con la quale egli spiega la propria vita.
In essa si parla di un clochard Andreas Kartak che vive, in una condizione di perenne estraneità non solo rispetto alla realtà ma anche rispetto alla vita. Quest’uomo si incontra, proprio sotto un ponte e non lontano dalla sua postazione, con un benefattore che gli consegna duecento franchi. Adreas è molto orgoglioso e li accetta solo se può restituirli, ma questo è impossibile sia perché egli versa in condizioni di assoluta povertà ma anche perché non ha un indirizzo ove può essere sollecitato a restituire il prestito ottenuto. Lo sconosciuto benefattore gli indica una soluzione nella consegna della somma alla piccola Santa Teresa nella chiesa di Santa Maria di Batignolles.
Da quel momento la vita di Andreas, che fino ad allora gli era estranea, diventa una faticosa sopportazione della sua ossessione di restituire la somma alla piccola santa e, nel frattempo la frustrazione di non riuscire a farlo, sviato da pernod e da donne.
Il protagonista si mette anche a svolgere piccoli lavori che non durano molto e nelle fasi di rientro nella realtà riesce anche a recuperare qualche frammento della propria identità e della propria storia. Il suo arrivo in Francia dalla Slesia polacca, il suo lavoro di muratore, la prigione patita per amore di una donna, la galera, il suo essere arrivato a Parigi ove vive la propria speciale condizione di esule dalla realtà e da clandestino.
L’epilogo non è certo la restituzione del denaro, che è solo un’ossessione da cui finisce per ripararsi ritornando alla sua vita sotto i ponti, ma il suo atto di scusa alla santa, una sorta di pentimento molto particolare, ma non per questo meno intenso.

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