giovedì 26 dicembre 2013

IL RE DELLA CAMERA BUIA, di RABINDRANATH TAGORE



Rabindranath Tagore, nacque a Calcutta il 6 maggio 1861. Fu uomo dagli interessi eclettici dedicandosi alla poesia, al teatro, alla musica e alla pittura. Nato da una delle più illustri famiglie del Bengala è stato il creatore della nuova letteratura bengalica.
Frequentò le scuole a Calcutta fino al diciassettesimo anno di età, quando fu mandato a studiare legge e letteratura in Inghilterra; la sua permanenza qui durò solo un anno dopodiché tornò in patria e cominciò la sua attività letteraria.
La sua opera è immensa; scrisse non meno di 2000 poesie, delle quali lui stesso compose la musica. Sebbene non possa definirsi un filosofo, non avendo dato sistemazione alle sue idee in un sistema organico, tuttavia le sue meditazioni non lo fanno sfigurare tra i maggiori pensatori dell'India, paese che ha notevoli tradizioni speculative. Persino con la pittura, interesse che occupò gli ultimi anni della sua vita, cercò di dare forma ai suoi pensieri, sempre degni di attenzione e fecondi di riflessioni interessanti.
Tagore è tuttavia conosciuto in Europa soprattutto come poeta lirico e principalmente attraverso le traduzioni inglesi, che egli stesso curò. Gitanjali e Sâdhanâ, entrambe pubblicate a Londra nel 1913, furono le opere che lo resero famoso e che in pratica lo condussero nello stesso 1913 al conferimento del premio Nobel e che rimasero sempre le più lette e apprezzate. Sono raccolte di canti intrisi di spirito religioso e amore divino, e soffusi di melanconia per un bene perduto: la natura è la grande manifestazione di Dio, il manto di cui Egli si ricopre per svelarsi all'uomo. Questa religiosità unita all'ardore spirituale resero il poeta celebre in tutto il mondo. Tuttavia non è facile riproporre l'armonia musicale che Tagore riesce a infondere nei suoi versi, neppure nelle migliori traduzioni nelle quali i suoi versi perdono comunque una buona parte dell'incanto che li caratterizza nell'originale.
Molto minore il favore riservato dal pubblico ai suoi drammi; gli stessi critici indiani hanno spesso sorvolato sul valore del suo teatro. In generale l'azione è debole, l'intreccio insufficiente, i caratteri poco delineati. L'allegoria non sempre risulta chiara, e le persone parlano e operano con un distacco che spesso appare non naturale, di sogno. Però il mondo in cui i personaggi si muovono è in diretta continuazione con i fantasmi lirici di Tagore; ritroviamo lo stesso ardore religioso, la medesima nostalgia dello splendore dello spirito divino. Secondo taluni quindi è proprio nei drammi che maggiormente si afferma l'originalità del poeta. I drammi che egli scrisse sono molti e appartengono tutti alla sua maturità poetica: SannyāsīCitrāRana o RattiSaradotsab (Festa d'autunno), DakgharMuktadhārā (Collana di perle), Raktakaravīr (Oleandri rossi), Natīr Fūjā (Offerta della danzatrice). Il primo dramma fu da lui scritto a quattordici anni; si intitolava Vālmikīpratibhā (Il genio di Vālmiki) e fu rappresentato nel palazzo dei Tagore a Calcutta.
Notevole è l'attività di Tagore come scrittore di novelle e di romanzi, pervasi dalla medesima visione della vita, dallo stesso senso divino. Ma rispetto ai drammi, i caratteri risultano meno scialbi e monotoni, anche se tutti risultano mossi da uno stesso piano ideale. La schematicità dei simboli appare superata e si ritrova una intensità psicologica del tutto diversa se paragonata appunto a quella che può riscontrarsi nelle opere teatrali.
Gorā (tr. it., Lanciano 1935), narra la storia del figlio di genitori irlandesi, perduto durante la rivolta del 1857, e allevato da una famiglia bengalica ortodossa. Egli cresce nell'odio degli inglesi fino a che quella che egli credeva sua madre non gli rivela la verità. I contrasti della società indiana sconvolta dai contatti con la cultura occidentale e indecisa fra le vecchie tradizioni e le nuove idee non ancora maturate in fondo agli animi sono messi in luce con notevole efficacia. Per un lettore occidentale può essere difficile ritrovare l'analisi psicologica alla quale siamo abituati dalla tradizione del romanzo europeo, ma l'efficacia rappresentativa è notevole e solo in S. Chandra Chatterji si potrà trovare uguagliata e superata. Anche Ghare bāire è dominato da motivi sociali; il problema centrale si impersona nell'eroica Bimalā la quale si ribella al costume antico che legava per arbitrio paterno i destini dei giovani senza tener conto delle loro volontà e dei loro sentimenti; amore senza passione, convivenza subita e non scelta: ma intorno alla figura e al tema centrale vive tutta l'India con le sue agitazioni, i suoi dubbi, i suoi tentativi di acquistare l'indipendenza.
Ancora più efficace risulta essere come scrittore di brevi novelle, precise nei caratteri e nelle forme, e magistralmente rifinite: l'equilibrio raggiunto in Lipikā è difficilmente riscontrabile in altre opere di questo autore; si tratta di brevissimi racconti pregevoli anche per la sperimentazione linguistica: il linguaggio del popolo giunge a dignità di linguaggio letterario con grande decisione.
Tagore risulta essere anche il più importante critico letterario dell'India moderna; il suo Sāhityaparicaya (Investigazioni letterarie) è una serie di saggi sullo spirito della letteratura indiana. Grande conoscitore anche di letteratura sanscrita, ha lasciato saggi importanti sull'argomento.
La traccia profonda lasciata da Tagore nella vita civile dell'India moderna la troviamo testimoniata nella sua opera autobiograficaJībansmrti (1912).
Morì a Santi-Niketan Bolpur il 7 agosto 1941.


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