mercoledì 8 gennaio 2014

Le cose piu' grandi di lui, di Luciano Zuccoli


Luciano Zuccoli, pseudonimo del Conte Luciano Von Ingenheim nacque a Calprino nel Canton Ticino il 5 dicembre 1868.
Di famiglia aristocratica e aristocratico nello stile di vita e di costume, si gettò giovanissimo nell'arringo letterario e pubblicistico dopo una breve esperienza come ufficiale di cavalleria; collaborò al fiorentino «Marzocco» e poi dal 1898 al 1900 diresse il giornale da lui fondato «La provincia di Modena» e, dal 1903 al 1912, la «Gazzetta di Venezia». Dovette abbandonare la direzione di questo giornale in seguito alle polemiche destate dal suo violento antisemitismo, che urtava la proprietà del giornale e che giunse al suo apice nell'articoloLa necessità della repressione il 27 ottobre 1911 a proposito della guerra di Libia, nel quale si legge fra l'altro: «Diciamolo francamente: troppi prigionieri. Due terzi almeno di quei prigionieri dovevano e potevano essere fucilati».
Due giorni dopo, il 29 ottobre, definisce nemici interni, nell'articolo Stranieri tollerati, i socialisti e gli ebrei, attaccando pesantemente Elia Musatti che accomunava nella stessa persona le due categorie così aborrite dallo Zuccoli. Dieci anni dopo partirà per l'Africa, deciso a costruire in Italia il genere “letteratura coloniale”, come lui stesso afferma in una lettera al suo vecchio redattore Gino Damerini. Più tardi i redditi della sua attività di narratore gli permisero di praticare in forme più indipendenti il giornalismo: fu collaboratore, tra l'altro, del «Corriere della Sera» e della «Illustrazione italiana». Trascorse a Parigi gli ultimi anni della vita.
Fu romanziere fecondissimo e gradito a un certo pubblico per la elegante se pur superficiale misura del suo stile, e anche per una diffusa coloritura di snobismo visibile nell'ambientazione delle vicende dei suoi romanzi. Partito da posizioni veristiche e dannunzianeggianti, lo Zuccoli, sotto l'influsso del romanzo francese del suo tempo e soprattutto di Bourget, venne via via affinando la sua tecnica in quella che in un certo senso fu la sua “specialità”: l'analisi dell'anima femminile colta nei momenti di crisi morale e di inquietudine nei suoi primi confusi turbamenti erotici, con particolare attenzione all'aspetto fisiologico dell'amore; molto acute anche le indagini di psicologia infantile, anch'essa analizzata nel sorgere delle prime inquietudini dei sensi e dei sentimenti.
Della lunga serie dei suoi racconti e romanzi, dal 1893 all'anno della morte, pubblicati con ritmo costante, si possono ricordare: I lussuriosi (1893), Il designato (1894), Roberta (1897), Il maleficio occulto (1901, dopo quattro anni di silenzio pubblicato in appendice a «La Tribuna» dal 18 agosto al 10 settembre 1901), Ufficiali, sottufficiali, caporali e soldati (1902), L'amore di Loredana (1908), Farfui (1909), La freccia nel fianco (1913; soggetto per l'omonimo film del 1944 di Alberto Lattuada), L'occhio del fanciullo (1914), Baruffa (1917), L'amore non c'è più (1918), Fortunato in amore (1919), La divina fanciulla (1920; è servito da soggetto per il film Divina Creatura di Patroni Griffi del 1975), Le cose più grandi di lui (1922), Kif Tebbi, romanzo africano (1923; da questo romanzo il film di Camerini Kiff Tebby del 1927), I ragazzi se ne vanno (1927) e Lo scandalo delle Baccanti (1928).
Morì a Parigi il 26 novembre 1929.

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