venerdì 24 gennaio 2014

Il castello di Otranto, di Horace Walpole



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Il castello di Otranto” è un romanzo gotico di Horace Walpole (1717-1797),pubblicato nel 1764.
Questa tipologia di romanzo si sviluppa nella seconda metà del 700 e rispecchia tutte quelle forze irrazionali dell’immaginario più indirizzato verso il cupo, il tenebroso e il misterioso che in quel periodo si tendeva a rifiutare. Ecco quindi che diventa l’altra faccia della medaglia rispetto al “classico” romanzo che si era già affermato nello stesso periodo e che al contrario voleva essere visto come vero. Il romanzo gotico avrà molto successo non solo nel 700, ma anche nell’800 e poi nel ‘900. All’interno di questa tipologia di romanzo troviamo una serie di temi che hanno a che fare con l’irrazionalità, il soprannaturale.. si costruisce tutto attorno ad un armamentario di oggetti e situazioni che creano l’atmosfera e la situazione in cui si svolgeranno i fatti (castelli, botole, fantasmi etc. ).
Walpole, per la stesura di questo romanzo, si fa ispirare da un sogno grazie al quale si sentirà talmente travolto che scriverà di getto senza badare alle regole, ai critici o ai filosofi, ed è per questo che lo ritiene il suo miglior lavoro. Certo è che Walpole all’inizio non credeva che la sua opera potesse riscuotere un così gran successo, tanto è vero che per la prima edizione del 1764 (ce ne saranno in seguito altre due, nei due anni successivi), non volle esporsi e così firmò il libro sotto uno pseudonimo, quello del traduttore William Marshal, fingendo di aver tradotto questa storia “dall’originale di Onofrio Muralto, canonico della chiesa di San Nicola, di Otranto”. Una volta ricevuto il massimo consenso da parte del pubblico di lettori, Walpole decise allora di riconoscerne la paternità, firmandosi nella seconda edizione (1765) con le iniziali H.W.. Nonostante ciò, il pubblico riconobbe le iniziali e attribuì l’opera ad Horace Walpole. Dalla terza edizione (1766) in poi, avremo una smisurata serie di edizioni mai vista prima per un altro libro..almeno 115.
Come ho detto in precedenza, scrisse di getto il racconto dicendo di “essere felice di poter non pensare per una po’ alla politica”. Questa citazione ci ricorda che Walpole aveva parte attiva in politica, avendo un seggio in parlamento, ma spesso questa lo deludeva e allora scappava rifugiandosi in “un passato di gioie e sicurezze” in cui “antichi castelli, antichi quadri, antiche storie e le chiacchiere degli anziani ci portano a vivere in secoli passati che non possono deluderci”. Lo scenario in cui si svolge il romanzo è sicuramente ispirato al castello di Strawberry Hill, casa comprata da Walpole e poi ristrutturata in castello secondo il suo gusto gotico. Ne “Il castello di Otranto” Walpole non solo intendeva divertire il pubblico, ma anche istruirlo; ed è
per questo che mette particolare attenzione ai costumi dell’epoca in cui ha luogo l’azione. Spesso fa riferimenti dettagliati proprio per far comprendere meglio al lettore quello che sta leggendo. L’innovazione di questo romanzo è il volere, da parte dell’autore, fondere  2 tipi di novella: quella antica e quella moderna, recuperando quello che era il tema cavalleresco, ma in chiave moderna cercando di rimanere comunque vicini alla realtà. Si narra quindi di una giovane donna in pericolo, perseguitata da un signore malvagio, ma che però verrà salvata da un eroe. Walpole fu particolarmente soddisfatto ad esempio della propria gestione delle figure dei domestici e dei loro modi di fare grossolani, che creano un’atmosfera in cui l’avvenimento miracoloso sembra ancora più plausibile e ritardano visibilmente il proseguire dell’azione. Modello a cui si ispirò l’autore fu Shakespeare, dal quale prese in prestito alcuni passaggi: ad esempio quando Matilda (figlia del principe di Otranto Manfredi) mette in guardia Teodoro dalla balconata, ricorda la scena del balcone tra Romeo e Giulietta..
TRAMA: Il principe di Otranto Manfredi è preoccupato per il suo regno in quanto è soggetto ad una profezia che dice “che il suo regno e la sua famiglia verranno a mancare, quando il vero possessore sarà troppo grande per abitarvi”. Per questo motivo Manfredi fa sposare il figlio Corrado con Isabella, figlia del marchese di Vicenza, sotto la sua tutela ormai da tempo. Il giorno delle nozze però, il figlio morirà schiacciato da un elmo gigante e di questo verrà accusato il contadino Teodoro solo perché quest’ultimo aveva riconosciuto quell’elmo come quello che possedeva la statua d’Alfonso nella chiesa di San Nicola e per questo verrà imprigionato. La stessa notte Manfredi va da Isabella dicendo di voler ripudiare la moglie Ippolita, perché sterile, e di voler sposare lei per poter quindi continuare a regnare. La giovane impaurita scappa dal castello e lo farà tramite una botola nei sotterranei dove verrà aiutata da un giovane a lei sconosciuto, che poi si scoprirà essere Teodoro. La ragazza arriva alla chiesa di San Nicola dove incontra padre Girolamo e racconta dell’accaduto, così questo decide di andare al castello il giorno dopo per parlare con il principe e dissuaderlo da quell’intento. La notte stessa, la principessa Matilda, figlia di Manfredi, ha modo di parlare, ma senza farsi vedere, con Teodoro e di questo si innamora. Il giorno dopo Manfredi annuncia la condanna di Teodoro e per questo Matilda sviene. Nel frattempo Padre Girolamo era arrivato al castello per parlare col principe, il quale non si fa dissuadere e nel momento in cui Padre Girolamo si presta a confessare il condannato, scopre che questo è suo figlio, disperso anni prima. A questo punto Manfredi ricatta il padre dicendo che se non vuole che uccida il figlio, dovrà convincere Isabella a sposarlo. Così il padre va in chiesa, ma scopre che Isabella si è recata al castello perché le è arrivata voce che la principessa Ippolita è morta. E’ ovvio che è un equivoco, così torna indietro per
spiegare il malinteso e distoglierla dal tornare al castello. Intanto al castello si era recato un araldo dicendo di dover parlare con l’usurpatore di Otranto e ritendendosi il diretto discendente d’Alfonso (primo regnante della signoria di Otranto) e di parlare in nome di Federigo, marchese di Vicenza, il quale rivuole indietro la figlia Isabella, e se così non sarà dovrà scontrarsi in duello con il marchese stesso. Così Manfredi, nasconde la fuga della giovane e manda a dire che avrebbero risolto tutto in modo amichevole e se così non fosse stato possibile, si sarebbe avuto il duello. Così il marchese di Vicenza si reca da Manfredi chiedendo di persona la figlia, ma capisce che Isabella non è più nel castello e così partirà lui stesso alla sua ricerca. Intanto Teodoro fu di nuovo imprigionato, ma questa volta verrà liberato da Matilda. Una volta libero va anche lui alla ricerca di Isabella, volendola proteggere da Manfredi, fin quando la trova e con lei si rifugia in una grotta. All’improvviso sentono delle voci gridare il nome della giovane. Era il marchese. Purtroppo né Teodoro, né Isabella sapevano chi fosse e così il giovane per difenderla ferì il cavaliere. Solo dopo si scoprirà chi è. Quest'ultimo fu portato al castello e raccontò che aveva trovato la spada compagna dell'elmo che prediceva che sua figlia era in pericolo. Manfredi propose a Federico la mano di Matilda in cambio di quella di Isabella e costui, affascinato da Matilda, acconsentì; ma poi cambiò idea a causa dell'apparizione di uno scheletro (ovvero l’eremita che in passato lo aveva avvertito della figlia) che glielo impedì. Nel salone fu vista di nuovo la mano di un gigante. Manfredi si allontanò alla ricerca di Isabella che credeva essere con Teodoro. Si recò dunque nella Chiesa di San Nicola dove vide il giovane con una donna e, credendo che fosse Isabella, la accoltellò, non riconoscendo che, invece, era Matilda. Dopo la morte di Matilda, un boato fece crollare il castello e la figura di Alfonso apparve al centro delle rovine. «Ecco Teodoro, il vero erede di Alfonso!» disse la visione che ascese al cielo, dove le nuvole rivelarono la figura di San Nicola. Manfredi svelò l'usurpazione di suo nonno e Girolamo raccontò le vicende degli antenati di Teodoro. Manfredi dunque abdicò, mentre Ippolita si ritirò in convento con Isabella che, solo dopo Teodoro decise di sposare.

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