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domenica 30 giugno 2013
giovedì 27 giugno 2013
Fuori onda, immagini e considerazioni della manifestazione No Global di Genova,
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Qualche brevissima considerazione. Questo libro nasce dalla convinzione che quelle giornate, in particolare la domenica, sono state uno dei punti piú bassi della nostra democrazia, una dimostrazione dell'idea di Stato autoritario che Berlusconi e Fini volevano trasmetterci. Ricordo quando l'autore delle fotografie di questo volume ci propose la sua idea di un libro e una mostra su quello che, probabilmente, non si sarebbe visto sui canali televisivi, la vera anima di quel movimento. Io e Rosaria aderimmo subito a questa iniziativa e, credo unici in Italia nell'ARCI, abbiamo prodotto entrambi. Abbiamo l'orgoglio di essere stati l'unico circolo ARCI in Italia ad averlo fatto e siamo anche felici dei contributi che riuscimmo a raccogliere, da Ovadia a Sabina Siniscalchi e tanti altri. Ma siamo fieri di avere anche il contributo di Tom Benettollo, il cui ricordo abbiamo sempre conservato con sincero affetto.
mercoledì 26 giugno 2013
lunedì 24 giugno 2013
sabato 22 giugno 2013
mercoledì 19 giugno 2013
martedì 18 giugno 2013
sabato 15 giugno 2013
Senso, di Camillo Boito
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Qualche considerazione a braccio. Ogni volta che leggo qualcosa che fa riferimento al nostro ottocento letterario vengo confermato in quelle che sono state le mie riflessioni adolescenziali: non abbiamo una letteratura ottocentesca che sappia confrontarsi con quella europea alla pari. Di sicuro non lo é Manzoni, che é solo uno spot ecclesiale. Ma neanche Camillo Boito si salva. Nella piccola antologia di racconti, che avevo nella mia biblioteca, ho scelto solo questo e solo perché nobilitato dalla versione cinematografica di Visconti. Ma va detto, comunque, che il nostro grande maestro del neorealismo italiano ha dovuto allontanarsi dal testo per la sua palese mediocritá, conferendogli una prospettiva risorgimentale che, nell'opera di Boito é solo accennata.
Boito cerca di rifarsi al melodramma europeo, ma concentrandosi troppo sugli appetiti della contessa Livia, finisce per dimenticare il contesto, persino quello drammatico delle guerre risorgimentali.
martedì 11 giugno 2013
Raccontarci VIII, AA.VV.
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Raccontarci é stato un concorso letterario che abbiamo immaginato come una palestra per giovani che volessero cimentarsi nella scrittura. Sono centinaia quelli che hanno partecipato e di molte regioni italiane: dalla Lombardia al Piemonte, la Liguria, il Veneto, l’Emilia, la Toscana, l’Umbria, le Marche, il Lazio ecc…
In questa occasione i giovani scrittori si sono cimentati con il tema del bullismo con il risultato che potete valutare voi stessi.
La ragazza al balcone, di Laila Sebbar
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È uno struggente racconto che ci riporta ai tragici eventi che hanno segnato la storia dell’Algeria, quando i fondamentalisti islamici hanno fatto scorrere fiumi di sangue di giovani donne, bambini, vecchi, ogni persona empia che ascoltava musica o non andava abbastanza spesso alla moschea, o non era vestita con quei lugubri vestiti che mortificano il corpo della donna.
È un dramma che riecheggia in molta parte della letteratura di quel paese meraviglioso, quello che è stato immortalato da Gillo Pontecorvo nel suo film sulla resistenza dei partigiani algerini contro l’occupazione violenta e crudele dell’esercito francese.
Il racconto, che puó essere letto anche da ragazzi delle medie, è la storia di una adolescente che comunica con un ragazzo che si dichiara innamorato e le invia le sue poesie d’amore sul balcone al quale si affaccia accartocciando il foglio attorno a un sasso per raggiungere la sua amata. Ma questa innocente relazione, capace solo di animare dei sogni, fa vivere nell’ansia la sua famiglia che sa come essa sia sufficiente per scatenare gli uomori bestiali dei fanatici religiosi.
Bello, come tutti i racconti che ho letto di questa scrittrice.
Soldati, di Leila Sebbar
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É davvero incredibile la forza narrativa che l’autrice mette nella scrittura di questi racconti. Non si tratta solo di una bravura stilistica, ma di una partecipazione empatica, di una indignazione profonda, per il dolore e la violenza delle guerre che ancora insanguinano tante regioni di questo pianeta.
Sí, perché i giornali forse non ce parlano, ma i profughi del Darfur o quelli di ogni campo profughi che da provvisorio diventa permanente, sono ancora lí a testimoniare una sofferenza verso cui ostentiamo una immorale indifferenza. Sono lí e, nonostante ogni nostro sforzo, il dolore di quelle persone si trasforma anche nel nostro dolore, nella nostra sofferenza che annega nel nulla del nostro consumismo.
Ancora una volta, questa scrittrice ci richiama a comprendere quello che stiamo facendo e la gravitá dei nostri comportamenti.
La leggenda del santo bevitore, di Joseph Roth
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Nella quarta di copertina si avverte che questo romanzo fu pubblicato per la prima volta nel 1939, pochi mesi dopo la sua morte da esule a Parigi, e che è una sorta di testamento, una sorta di parabola con la quale egli spiega la propria vita.
In essa si parla di un clochard Andreas Kartak che vive, in una condizione di perenne estraneità non solo rispetto alla realtà ma anche rispetto alla vita. Quest’uomo si incontra, proprio sotto un ponte e non lontano dalla sua postazione, con un benefattore che gli consegna duecento franchi. Adreas è molto orgoglioso e li accetta solo se può restituirli, ma questo è impossibile sia perché egli versa in condizioni di assoluta povertà ma anche perché non ha un indirizzo ove può essere sollecitato a restituire il prestito ottenuto. Lo sconosciuto benefattore gli indica una soluzione nella consegna della somma alla piccola Santa Teresa nella chiesa di Santa Maria di Batignolles.
Da quel momento la vita di Andreas, che fino ad allora gli era estranea, diventa una faticosa sopportazione della sua ossessione di restituire la somma alla piccola santa e, nel frattempo la frustrazione di non riuscire a farlo, sviato da pernod e da donne.
Il protagonista si mette anche a svolgere piccoli lavori che non durano molto e nelle fasi di rientro nella realtà riesce anche a recuperare qualche frammento della propria identità e della propria storia. Il suo arrivo in Francia dalla Slesia polacca, il suo lavoro di muratore, la prigione patita per amore di una donna, la galera, il suo essere arrivato a Parigi ove vive la propria speciale condizione di esule dalla realtà e da clandestino.
L’epilogo non è certo la restituzione del denaro, che è solo un’ossessione da cui finisce per ripararsi ritornando alla sua vita sotto i ponti, ma il suo atto di scusa alla santa, una sorta di pentimento molto particolare, ma non per questo meno intenso.
lunedì 10 giugno 2013
Sonata a Kreutzer, di Lev Nikolaevič Tolstoj
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Il romanzo racconta di una narrazione, che meglio si configura come una confessione intima, avvenuta durante un viaggio in treno. La voce narrante è quella di un uomo che raccoglie le parole del protagonista, Vasja Pozdnyšev. Quest’ultimo si intromette in una conversazione tranalcuni viaggiatori, tra cui una donna, Persone che dissertano animatamente a proposito dei principi fondanti dell’amore, della libertá della donna di scegliere il marito e del diritto ad accedere a una maggiore istruzione, e della stessa definizione dell’amore. In particolare, emergono le posizioni nettamente contrapposte di una signora, che difende l’amore «fondato sulla comunanza d’ideali o sull’affinità spirituale», e quella de; protagonista Pozdnyšev. Costui in seguito si ritrova nello scompartimento da solo con il narratore, al quale inizia a raccontare la sua storia. In veritá si tratta di un lungo monologo nel quale esalta la purezza contrapponendola alla bassezza degli istinti animaleschi degli umani, uomini e donne, che poi altro non sono che le pulsioni sessuali, Una novitá é costituita senz’altro dalle colpe che attribuisce all’uomo spinto dalle sue “esigenze” a frequentare i bordelli, ma le colpe maggiori finiscono per essere attribuite alle donne che sarebbero protagoniste consapevoli di quel mercato delle vacche che é il matrimonio. La repulsione dell’autore verso la donna é conclamata dalle numerose affermazioni, così come l’abominio per il sesso e il matrimonio. D’altro canto questo teorema viene ribadito dalla tragedia che si consumerá. Ma, sará il narratore stesso che il delitto era stato consumato giá molto prima con un progressivo allontanamento della donna.Nel mezzo ci sono sproloqui sul ruolo della donna quando diventa madre, cosa questa che la dovrebbe allontanare da qualsiasi civetteria, così l’autore chiama il rispetto del proprio corpo e della propria persona, accusando la classe medica di congiurare con le donne per facilitare la loro caduta nella perdizione.Il dramma prende forma quando Pozdnyšev presenta alla moglie un musicista e, subito dopo, inizia a sospettare una relazione tra i due, consumata dal loro amore per la musica e per la Sonata a Kreutzerdi Ludwig Van Beethoven, l’uomo avverte l’intero peso dei propri dubbi. La gelosia lo tormenterá per tutto il tempo fino a concludersi con l’uccisione della povera donna.É poco importante se ella sará o meno colpevole, in realtá é il disprezzo per la donna che porta a questo epilogo.Devo dire, con rammarico, che questa lettura l’ho trovata appesantita dal tempo, molto piú di tanti altri autori dell’ottocento che dimostrano, invece, una prosa che dimostra una grande modernitá.
La poesia della Palestina, a cura di Roberto Nicoletti
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Da molti anni seguo l’evoluzione della questione palestinese, in particolare collaborando con associazioni di amicizia Italia-Palestina. Abbiamo pubblicato un libro che raccoglieva le testimonianze di amici e compagni che erano andati nei territori occupati dalle truppe armate di Israele e testimonianze e ricordi di palestinesi che vivono a Brescia da molti anni. Ho ridotto a lettura teatrale “Con il vento nei capelli” di Salwa Salem e, come Arcilettore, l’abbiamo rappresentata tantissime volte nelle biblioteche o nelle feste dell’unitá. Abbiamo fatto venire, in collaborazione con un centro di iniziativa per la pace, esponenti della comunitá di Navé Shalom (un’esperienza di convivenza di palestinesi e israleliani) e, ora, abbiamo redatto in forma di ebook sia una vecchia raccolta di poesie palestinesi del periodo del Movimento Studentesco (i miei anni eroici) sia una raccolta di poesie che ho trovato nella rete.
Perché questa scelta?
Ci sono diversi ordini di motivi. Il primo l’ho condiviso con un grande scrittore, Grosman, che definisce la situazione attuale tra arabi e palestinesi come quella di due popoli prigionieri dei propri estremismi. Ma lo scrittore israeliano (ps. Io non parlerò mai di mussulmani ed ebrei perché le scelte religiose sono affari personali di ogni individuo e non un elemento di rilevanza collettiva) ammette che a Israele, in quanto Stato con una potenza economica e militare superiore, spettano le maggiori responsabilità. Al contrario, gli stati occidentali tendono a guardare gli avvenimenti medio-orientali con uno strabismo che condanna i palestinesi al ruolo di terroristi e gli israeliani a quello di cane da guardia degli interessi del nord del mondo. Continuare su questa strada non può che portare ad una esasperazione dei conflitti, anche tenendo conto che nel nord africa si sono verificati e si verificano dei cambiamenti che potrebbero andare nel senso di un approdo alla democrazia se solo l’Europa e gli USA li sosterranno. La guerra non é una soluzione dei problemi che abbiamo di fronte, e questa é una cosa ovvia dopo le esperienze in Afghanistan e Iraq, ma questo sembra non essere compreso dalle grandi cancellerie che non trovano meglio da fare che continuare a mostrare i muscoli.
Ma se questa é la motivazione ragionata in termini politici, quella che mi ha fatto scegliere di schierarmi a favore dei Palestinesi é semplicemente che sono sempre stato dalla parte dei più deboli e delle vittime.
E questo mi porta a un’altra considerazione che giustifica la decisione di mettere a disposizione di tutti, e in modo gratuito, questi ebook. Nella mia vita intellettuale una delle lezioni piú importanti che ho interiorizzato é senz’altro quella dell’importanza della memoria. Primo Levi é stato un mio punto fermo. La lettura dei suoi libri, ma in particolare “Se questo é un uomo”, sono stati un momento di acquisizione di valori etici fondamentali. Ognuno di noi ha delle letture che sono state fondamentali, dei libri che hanno segnato un confine tra un prima e un dopo. Per me é stato leggere Primo Levi. Ma la comprensione dell’enormità dei delitti contro l’umanità compiuti dai nazisti e dai fascisti non si é mai fermata a un momento fermo della storia, al contrario ho dovuto vivere molte e molte situazioni nelle quali questa consapevolezza mi ha fatto ribellare alle visioni dominanti: dal Vietnam all’invasione della Cecoslovacchia, alle stragi africane, all’invasione dell’Afghanistan da parte dei sovietici e poi degli americani, e avanti passando dalle violenze dei dittatori sudamericani, la guerra civile libanese, il settembre nero dei Palestinesi, le guerre preventive ecc…
Come diceva Primo Levi “un popolo senza memoria é condannato a rivivere sempre il ripetersi degli errori”. Tuttavia non avrei mai immaginato che proprio Israele, un paese nato per dare rifugio a chi era stato vittima della shoa, sarebbe stato lo stato con minore memoria. Non puó essere una giustificazione il “mai piú vittime senza reagire”, perché se é giusto rifiutare il ruolo di vittime e, quindi giustificare la ribellione, quello che accade nei territori occupati ha trasformato gli israeliani in carnefici.
La lettura di questi libri di poesia mi ha portato a sentire una vicinanza tra la ribellione palestinese all’occupazione israeliana alla nostra guerra di liberazione dal nazifascismo e non mi sento addosso la comoda accusa di antisemitismo, queste sono cose che lascio ai fanatici di ogni tempo e Paese.
Selim lo scemo, di Tawfiq Fayyad
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Ancora una volta la narrazione degli scrittori palestinesi viene rivolta a creare una identità di popolo che non si rassegna all’occupazione israeliana ma ha nella costruzione di un proprio stato una ragione di unione e una prospettiva comune.Selim é un giovane che, per il suo senso di ribellione viene chiamato “scemo”. Lui é un’anima pura, una di quelle persone che il Corano prevede debba essere rispettato e non debba subire n’la violenza fisica né l’umiliazione della derisione. É lui il bambino che deve subire l’eccidio della propria famolia, il vagabondaggio da un compo profughi a un altro. Una condizione di provvisorietá che gli israeliani hanno reso stabile, per favorire l’esodo di un’etnia indesiderata e costruire un Grande Israele di razza pura ( a ben vedere un sogno condiviso con i nazisti, ma dico da molto tempo che questo popolo é l’unico al mondo che ha perso la memoria della Shoa nel suo significato piú profondo per trasformarlo in uno strumento utile a giustificare i peggiori atti di persecuzione).Selim é innamorato e le ragazze lo accolgono tra loro, quando vanno alla fonte a prendere l’acqua con gioia; Selim disprezza quelli che sono seduti in pigiamo a righe (impossibile non fare il paragone con i prigionieri dei lager nazisti anche se non ci sono recinzioni di filo spinato) e subiscono passivamante le angherie degli occupanti; Selim lancia le pietre contro le auto degli israeliani.Selim diventerá un eroe, un martire della lotta di liberazione palestinese.E tutto questo é scritto con una cura rivolta a cullare Selim e Fattuma, a coccolarlo, perché quel giovane “scemo” é il simbolo di quei giovani che abbracciano la follia di combattere l’esercito piú armato e spietato del mondo e di farlo con la sicurezza di vincere.Per me che sono contro chiunque eserciti una violenza contro ogni altro essere umano; per me che vorrei una lotta, ugualmente folle, senza violenza contro l’occupante israeliano; per me che sono convinto che la libertá di ogni individuo é sacra e sacro il diritto di ribellarsi a chi tenta di negarla; per me Selim é un eroe e saró sempre con i palestinesi contro gli israeliani, cosí come ho sempre ricordato la morte eroica di tanti milioni di individui nei campi di sterminio nazisti, siano essi ebrei, zingari, omosessuali o semplici oppositori politici.
Antologia di racconti di scrittrici arabe
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Uno dei grandi errori che commettiamo é quello di considerarci solo nell’Europa e non anche immersi nel Mare Mediterraneo, un mare con una grande storia alle spalle e in grado di costruire anche un grande futuro se solo incominciassimo a vederlo, e a vederci, come un tutt’uno, due sponde unite da diverse sensibilità, come dice una delle mie scrittrici preferite, Malika Mokkadem.Quello che vi presento, nella scarsa conoscenza di questa realtà, è il primo di una serie di libri di scrittrici arabe. Non é un mio vezzo culturale, ma la convinzione che occorra battere i pregiudizi che vedono la donna araba solo con lo chador o il velo, senza immaginare la ricchezza di cultura e sensibilità che esse nascondono.In questo primo volume c’è soprattutto un’autobiografia come sogno segreto, desiderio di fuga che misura i confini della propria prigione, fantasie di libertà coltivate nell’intimità della vita domestica e forzature verso la modernità. Ma anche spazi illimitati, tra il mare che abbaglia e l’antica radice del deserto. Un filo accomuna i racconti di questa antologia, al di là delle differenze tra Marocco, Tunisia e Algeria, il filo della libertà femminile alle prese con le fatiche del cambiamento. A raccontarlo sono autrici di due diverse generazioni. Le prime hanno cominciato a scrivere negli anni Cinquanta, hanno conosciuto le lotte per l’indipendenza, alcune vi hanno anche partecipato. Le più giovani in quegli anni sono venute al mondo. Le unisce la lingua in cui scrivono, il francese, e un mutamento della situazione delle donne più radicato che in altri paesi islamici. Gli uomini sono dipinti come immobili conservatori, più che come padroni tirannici. E l’emancipazione è una rabbiosa rivincita sulla pretesa maschile di non smuovere nulla. Ma è anche la perdita di un passato che – ne sono consapevoli – non potrà tornare.
Il Minotauro, di Friedrich Dürrenmatt
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Ho letto anche altri libri di
questo autore, ma la lettura di questo suo lavoro mi ha davvero impressionato.
La rivisitazione del mito di Teseo e del Minotauro fa parte della cultura
mitologica che gli dona il padre con i suoi racconti con i quali intrattiene il
piccolo Friedrich. Tuttavia, alla versione greca, l’autore aggiunge molta parte
dei suoi miti: quello dell’innocenza del mostro, mai consapevole di sé e dell’orrore
delle sue azioni, una visione del minotauro simile a quella romantica del buon
selvaggio.
Ci sono certe pagine, poi, come
quella della danza del mostro davanti agli specchi che ricoprono le mura del
labirinto o quella dell’amplesso con la giovane donna, che posseggono una forza
narrativa che mi è parsa impregnata della mitologia nibelunga.
Certo, non pretendo e non voglio
essere un critico e sono consapevole che le mie impressioni sono solo quelle di
un lettore appassionato, quindi inevitabilmente soggettive e fallaci. Comunque,
l’innocenza del minotauro viene esaltata dalla sua lotta con Teseo. La bestia
accoglie il nuovo essere con gioia e con l’acquisita consapevolezza di essere
meno rude nel suo rapportarsi con esso e, tuttavia, viene tradito da questi, da
Teseo, un tradimento che pone termine anche alla sua inconsapevolezza. così
come l’amore, anche la rabbia ha delle pagine di eccezionale potenza lirica.
C’è un tratteggio del comportamento del minotauro che egli deve aver visto con
l’occhio del pittore , prospettiva che sembra ispirarlo nel muovere sulla
pagina la belluinità del mostro. In tutto questo Teseo e Arianna escono
decisamente meno eroici rispetto alla lettura che, di questo mito, mi era
rimasto nella mia lettura giovanile. Comunque, la grandezza di uno scrittore è
qualcosa che nessuna scuola Holden potrà dare ai suoi salassati partecipanti, è
qualcosa che si possiede, oppure non si possiede.
Lista d’attesa, di Arturo Arengo
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Questo racconto, benché non sia la prima volta che lo rileggo,
riesce a stupirmi ancora per la freschezza con la quale l’autore riesce a
rappresentare il microcosmo delle persone in lista di attesa in una stazione di
autobus a Cuba.
Ho visto anche il film che si è ispirato a questa storia, ma non
mi sembra che sia riuscito a cogliere lo spirito di questo piccolo capolavoro.
Giá il fatto che ci troviamo di fronte a code che non sono di
poche ore, ma addirittura di mesi, rappresenta un paradosso con il quale
l’autore intende fotografare la societá cubana. Cosí, ad esempio, la folla
diventa una comunità collaborativa, governata dall’impegno volontaristico di
tutti, ma anche per questo da leggi autoritarie che dovrebbero difendere quel
tentativo di contrastare il caos. La controparte diventa l’amministrazione
della stazione degli autobus, con la quale “l’esecutivo”realizza una trattativa
per contrastare la speculazione dei negozianti e il mercato nero, oppure per
ottenere migliori condizioni igieniche.
Tutto sembra funzionare e la vita della comunità consolida,
nella narrazione, il suo essere il paradigma di una societá, con la sua scuola,
il suo morto a cui segue il funerale, con la speranza di una nascita, ecc…
Una situazione che viene presto considerata come definitiva, e
non transitoria, tanto che la prospettiva, diventa reale di una prossima
partenza viene vissuta come una separazione, la fine di una speranza.
Per un amante da sempre della letteratura sudamericana, come mi
ritengo, questo racconto rappresenta l’ennesima conferma dell’unicitá di questo
filone narrativo, ma soprattutto del fascino che esso possiede.
Storia del pescatore, da “Le mille e una notte”
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Un esame della letteratura araba e l’individuazione di un percorso di lettura non può prescindere da un’osservazione preliminare: la nostra quasi totale mancanza di conoscenza degli autori arabi e delle loro opere. Anche gli autori più rappresentativi, compreso il premio nobel egiziano Nagib Mahfuz, sono, comunque, considerati più come un’opzione, esotica che una conoscenza necessaria per capire un mondo che ci è prossimo. E inquietante sospettare che un giudizio di questo genere possa nascere dal pregiudizio che assimila tutto il mondo e la cultura araba al fondamentalismo di certi suoi spezzoni di società, peraltro neanche maggioritari. Perciò, quella che propongo non è un’analisi critica, ma piuttosto una proposta di lettura.“Bimbo di Kafr ‘Ana, cosa sei se non un primo punto di questa lunga linea che parte da un camion? Anche la terra è solo un camion che oggi pone la prima pietra che governerà sempre più il tuo cuore, come sempre più crescerà la tua conoscenza di città e paesi che non hai ancora scoperto: tu non sei altro che quello che sarà.Tra qualche anno, con la sicurezza della maturità, tornerai a questo momento e piangerai.Tutto trarrà origine da questo momento; da esso, e rivolto ad esso, nascerà il tuo canto.n destino ti sballotterà, e sarà lungo il tuo peregrinare.Rifugiati, allora, nel seno che ti sta accanto e non ti chiedere dove porta il lento procedere di questo camion mentre si allontana dai regni dell’infanzia!”In questo modo inizia il libro “Testimone oculare” di Muhammed al-Qaysi (Edizioni Lavoro), un poeta che ha voluto testimoniare con questa sua unica opera narrativa la tragedia della diaspora palestinese, la Nabqa.È interessante come a quel camion di cui parla l’autore faccia anche riferimento un altro autore palestinese, Ghassan Kanafani. Questi, nella sua opera più significativa “Uomini sotto il sole”(Sellerio editrice), fa morire i protagonisti del suo racconto in un camion cisterna con il quale speravano di raggiungere clandestinamente il Kuwait, lasciando disperato il traghettatore che vive un doppio ruolo di rinnegato: quello di palestinese lontano dalla sua terra e di contrabbandiere di uomini nel deserto, che a sua volta è un altro simbolo. Un uomo che rinnega per soldi la solidarietà con i suoi compatrioti disperati, ma di fronte alla loro morte si sente perso.“Tutta la stanchezza che sentiva gli salì improvvisamente al capo e cominciò a ronzargli dentro; allora si mise la testa fra le mani e prese a tirarsi i capelli per scacciare l’idea. Ma era sempre presente, grande e risonante, immensa, incrollabile, evidente.Si voltò indietro, dove aveva gettato i cadaveri, ma non vide niente. Quell’occhiata non fece altro che dar fuoco all’idea, che cominciò a divampare nella sua testa. Non riuscì più a trattenerla, lasciò cadere le mani lungo i fianchi e si mise a fissare le tenebre con le pupille sgranate.Il pensiero gli scivolò via dalla testa e gli corse giù sulla lingua: “Perchè non hanno battuto sulle pareti della cisterna?”. Fece un giro completo su se stesso, ma ebbe paura di cadere, cosi si arrampicò al posto di guida e appoggiò la testa al volante.“Perchè non avete battuto sulle pareti della cisterna? Perché non avete chiamato? Perchè?”E tutto il deserto, improvvisamente, cominciò a rimandargli l’eco:“Perchè non avete battuto sulle pareti della cisterna? Perché non avete battuto sulle pareti della cisterna? Perchè? Perchè? Perchè?”Gran parte della letteratura araba è abitata da ribelli, rinnegati, disperati che trovano nelle parole scritte dai diversi autori le sembianze di eroi.Forse il punto più alto di questa letteratura, io penso, lo raggiunge Tahar Ben Joullun in “Creature di sabbia”. Un’opera che è suddivisa in una trilogia che comprende anche “Notte fatale” e “A occhi bassi”, tutti pubblicati da Einaudi. “Creature di sabbia” è una storia che non ha un luogo fisico preciso e nemmeno un tempo preciso. Probabilmente si svolge in Marocco. Anche le persone di questo racconto sono indefinibili, ma sono tutte legate dal loro coinvolgimento nella magia della storia.Non si tratta solo dell’incontro di tanti personaggi, ma anche dell’insieme di tante storie: c’è quella del narratore che morirà prima di finire il suo racconto, perché questa vicenda non ha una fine; c’è quella di Salem, uno schiavo che si è liberato grazie ai suoi studi; c’è quella di Amar e quella di Fatouna, una vecchia che, nel suo pellegrinaggio alla Mecca, ha sentito il bisogno di liberare l’urlo di dolore di Fatima, la sposa infelice della creatura di sabbia. Infine c’è la storia del trovatore cieco, sempre in bilico tra le storie che custodisce, che sono tratte dai libri, e un mondo che non riesce più a distinguere dalla realtà.Ma chi è la creatura di sabbia?“La situazione era precipitata bruscamente, quando ancora nulla lasciava prevedere una simile evoluzione. L’insonnia era una perturbazione banale delle sue notti: a tal punto era frequente e irriducibile. Ma da quando era insorto quel contrasto tra lui e il suo corpo, una specie di rottura, il suo volto era invecchiato e il suo modo di muoversi era diventato quello di un handicappato. Non gli restava che rifugiarsi nella solitudine totale. E ciò gli aveva permesso di fare il punto su tutto quanto aveva preceduto quel momento e di preparare la sua partenza definitiva verso i luoghi del silenzio supremo.Sapeva che la morte non sarebbe sopraggiunta né per un arresto cardiaco e neppure per una qualsiasi emorragia cerebrale o intestinale. Soltanto una tristezza profonda, una specie di malinconia deposta sopra di lui da una mano impacciata, avrebbe finalmente posto fine, senza dubbio nel sonno, ad una vita semplicemente eccezionale che non avrebbe potuto sopportare, dopo tanti anni e tante prove, di concludersi nella banalità quotidiana. La sua morte sarebbe stata all’ altezza della sua vita, che aveva avuto del sublime, ma con la sola differenza che allora lui avrebbe bruciato tutte le sue maschere, che sarebbe rimasto nudo, assolutamente nudo, senza sudario, direttamente sulla terra che avrebbe consumato a poco a poco le sue membra, fino a restituirlo a se stesso in quella verità che per lui era stata sempre un pesante fardello. ”Ma se Joullun usa questa narrazione come metafora per spiegare la realtà del suo popolo, Gibran Kahlil Gibran, in “Spiriti ribelli”, si stacca dalla magia del racconto tradizionale e utilizza la ribellione dei suoi personaggi per condannare l’arretratezza del mondo arabo e per stimolarlo ad aprirsi alla modernità. Le storie che narra parlano di personaggi diversi che sono accomunati fra loro da uno spirito di ribellione verso l’ingiustizia imposta da un ordine sociale che molti chiamano tradizione e che, invece, è solo l’ipocrisia con la quale si permette a qualcuno di sfruttare legittimamente gli altri.In una di queste storie c’è un giovane, con il volto rigato dalle lacrime, che scava anche lui una fossa nella quale far riposare il povero corpo martoriato della ragazza che ha amato. Ogni tanto si interrompe per accarezzarle i capelli e chiamarla disperatamente per dirle il suo amore.“Sono io l’infelice per il quale questa donna è stata lapidata. Ci eravamo amati dal tempo dell’infanzia, quando giocavamo insieme tra le case. Crescemmo e con noi crebbe l’amore e si sviluppò fino a diventare un potente padrone che servivamo con i nostri cuori. Le nostre anime nel loro intimo provavano soggezione davanti a questo amore che ci prese nel suo abbraccio.Un giorno, mentre ero lontano dalla città, il padre della fanciulla la unì con la forza a un uomo che ella detestava.Ritornai, e quando seppi tutto ciò, il mio giorno diventò una notte senza fine e la mia vita una lunga morte amara. Lottai con il mio amore e combattei il desiderio del mio cuore ma alla fine essi ebbero il sopravvento e mi guidarono come il vedente guida il cieco. Un giorno mi recai in segreto dalla mia amata. Il mio più grande desiderio non era che di vedere la luce dei suoi occhi e udire la musica della sua voce. La trovai sola a lamentarsi della propria sorte e a piangere i suoi giorni. Sedemmo insieme e nostro discorso fu il silenzio e nostra compagna la castità. Non era trascorsa un’ora quando suo marito arrivò.Quando mi vide, la sua meschinità ebbe la meglio e afferrato il collo sottile di lei con le rozze mani disse ad alta voce: “Venite tutti a vedere la prostituta con il suo amante!”I vicini accorsero, e poi i soldati, a indagare sull’accaduto. L’uomo la mise nelle loro mani e loro la portarono via con i capelli sciolti e i vestiti strappati. Quanto a me, nessuno mi fece del male, poiché la legge cieca e la consuetudine corrotta puniscono la donna caduta in peccato ma guardano con tolleranza all’uomo “.Una riflessione. Chiunque legga “La vela e la tempesta” (Jouvence edizioni) del siriano Hanna Mani non può non scorgervi l’influenza di Conrad o di Melville, così come non può sfuggire la modernità della struttura narrativa di Malouf che in “Giardini di luce” (TEA Edizioni) ricorda a tratti l’influenza di Hesse. Gli autori arabi, dunque, non hanno difficoltà a contaminarsi con la letteratura occidentale. Al contrario i nostri scrittori, penso soprattutto agli italiani, per il momento respingono questo contagio (con qualche rara eccezione come, per esempio, “Il coraggio del pettirosso” di Maurizio Maggiani) per me salutare con la letteratura araba.È probabile che la sofferenza sempre più evidente della nostra letteratura sia dovuta ad una scelta di fondo che è anche una scelta di mercato: quella di rifarsi ai modelli anglosassoni. Questa operazione è però in contrasto con la nostra tradizione che ha radici profondamente mediterranee e quindi naturalmente portata ad uno scambio con le realtà letterarie dei Paesi che si affacciano su questo mare. Scoprire, tradurre e stampare le opere degli autori mediterranei significa anche ribaltare questa logica e aprire un’ altra falla nel liberismo sfrenato e omologante di questa globalizzazione.
Testimone dell’accusa, di A.Christie
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Confesso che il mio interesse per questo racconto è nato dal film, rivisto di recente, che a esso s’ispira. Tuttavia, leggendo il lavoro teatrale di Agatha Christie, sono rimasto profondamente colpito dalla genialità di quest’autrice che, anche se non avessi visto il film di Billy Wilder, conduce il lettore e ne cattura la sua attenzione con un complesso meccanismo narrativo che possiede una perfezione intrinseca.
Leonard Vole, il protagonista delle vicende narrate in questo volumetto, è accusato del delitto di Emily French e a questo fatto delittuoso è altresì inchiodato da una serie di prove che appaiono incontrovertibili. Lo difende l’avvocato Mayherne che, pur partendo dalla presunzione della colpevolezza del suo assistito, finisce per convincersi della sua innocenza.
Eppure lo spessore del protagonista è davvero mediocre, egli è solo un arrampicatore sociale, un uomo che affascina una ricca e anziana signora e la induce a cambiare il proprio testamento con lo scopo di essere il destinatario delle sue fortune.
Fondamentali sono anche due donne: Janet, l’anziana cameriera della signora Franch e Romaine la moglie di Leonard. Le due si contrappongono nella definizione del ruolo dell’uomo a proposito del delitto. In particolare è interessante la figura ambigua di Romaine, che prima appare offesa dal comportamento del marito e, successivamente rimescola le carte in modo da favorire la vittoria dello stesso nel processo.
Tutto è incredibilmente preciso e ogni scelta nella narrazione ha un posto e una logica che rende la vicenda verosimile.
Non avevo mai letto questa autrice e sono sicuro che questa non sará l’unica opera che leggerò e proprio per questo sono rimasto vago nel riassunto della trama, cosí da non togliere al lettore il piacere della lettura.
La panca nel loggiato, di Lin Bai
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Quella raccontata da Lina Bai è una storia che è solo in parte un condensato della storia cinese della seconda metà del novecento. In realtà colpiscono di più le atmosfere rarefatte, cariche di magia e di suggestioni che vengono rimandate al lettore attraverso una serie di splendide istantanee che come luogo principale un grande palazzo in una piccola cittadina della Cina sub tropicale.Quando la protagonista vi arriva esso appare vuoto e l’unico segno di vita è una panca su cui è appoggiata una tazza di tè.Ed infatti, su quella stessa panca, sempre la narratrice ma in un altro momento, troverà Qiye che le racconterà le storie delle vite di coloro che hanno abitato il palazzo.Il miracolo compiuto dalla scrittrice Lin Bai è di trasformare una novella in un mirabile racconto collettivo. La sua scrittura, poi, riesce a staccare il lettore dal contesto temporale nel quale si svolgono gli avvenimenti che entrano, così, in una dimensione temporale indefinita, onirica, nella quale è possibile che passato e presente si continuino a toccare.
domenica 9 giugno 2013
Metamorfosi, di Tanja Agazzi
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